CATANIA- Un arsenale in mano alla nuova cupola del clan Santapaola. Salvatore Di Benedetto e Giovanni Pappalardo sono due picciotti in sella al clan di Caltagirone. Si aggirano per la via Acquicella a bordo di una Bmw. Ad ogni metro, in quello stradone che unisce il “Fortino” con il cimitero catanese, riecheggiano i rintocchi dei mastri scalpellini, che preparano le lapidi, si aggirano bambini con il doppio taglio, che gestiscono i parcheggi e volti noti agli inquirenti, appanzati, che preparano polpette di cavallo sul marciapiede.
C’è profumo di carciofi in via Acquicella, il periodo è quello giusto, Di Benedetto e Pappalardo devono fare la spesa, niente ortaggi, servono armi per il clan. Le intercettazioni della Procura di Catania -alle quali il mensile “S” dedica uno speciale (CLICCA QUI) – raccontano ogni attimo. I carabinieri del Ros ascoltano istante per istante quello che accade e relazionano ai pubblici ministeri Antonino Fanara e Agata Santonocito. Il clan è sull’orlo dell’ennesima guerra interna. In ballo ci sono estorsioni, controllo del territorio, potere. Il capo si chiama Francesco Santapaola.
Di Benedetto e Pappalardo sono lì, sullo stradone tra cimitero e Fortino, a cercare Francesco Pinto “per visionare armi da comprare”, annotano i magistrati. In via Acquicella si sentono in famiglia, riconoscono molti “soggetti appartenenti al clan Santapaola”, tra i quali uno che si chiama “Carmelo”. Per rintracciare Franco Pinto, Di Benedetto propone di inviare un messaggio a una terza persona. Già in passato, si sarebbero recati nello stesso posto. Si guardano attorno. Di Benedetto ricorda che si erano già fermati lì, c’è la Fiat 500 del fratello di Francesco Santapaola. Incontrano Giovanni Pinto e guardano qualcosa.
Si allontanano e rientrano in macchina. Le cimici dei carabinieri continuano a registrare. Di Benedetto e Pappalardo raccontano di aver visto “un gioiellino”, “Giovanni (Pinto) iè spacchiusu” dicono, “come il fratello”, e confermano di voler “comprare” da Giovà.
Parlano a lungo delle armi visionate, gli investigatori non hanno dubbi, i due sostengono che si tratti di “cose selezionate fuori…serie…belle”, addirittura “gioielli fuori serie”. Utilizzano nomi in codice. Pappalardo avrebbe acquistato un’arma detta “u picciriddu” e anche Di Benedetto, “l’accendino”. Passano pochi minuti, Di Benedetto rompe gli indugi e confessa all’amico di voler utilizzare il kalashnikov per sparare la sera di capodanno. Giovanni Pinto li chiama “vita mia”, Salvatore Di Benedetto lo saluta “biddazzo”.
Tra le armi ci sarebbe una calibro 7, “bellu armaluzzu”, come quelle che si vedevano “in tutti i film”. “Minchia – esclama Di Benedetto- li posso andare a buttare tutti quei ferri vecchi che ho, li ha messi da parte credigli, cose fuori dalla misura, bella per davvero, ‘mbare, bella bella bella per davvero!”.
“Quando ha tirato fuori questi – aggiunge Di Benedetto- non ho parlato più Giovà!”
I due fremono. “No questa è – dice Pappalardo- quesi si devono prendere, è identica come quella che ha mio cugino questa, questa lì dove, questa che ha il caricatore, loro li comprano per il poligono li comprano”. E Di Benedetto insiste: “Quelle caramelle ah? Minchia io me la sogno anche stanotte ora ‘mbare”.
Un arsenale. Pistole mantenute in perfetto stato di efficienza, Di Benedetto e Pappalardo parlano anche delle armi “nuove” che avevano visionato, con laser, silenziatore, vi era anche una pistola d’ultima generazione con qualcosa di “incorporato”.
Di Benedetto non si trattiene, la vista delle armi ha acceso la sua euforia. “Io ora mi ci vado a coricare la prossima volta, io direttamente nel letto con lui, tutti e due. Ha cose quel Pinto selezionate, bastardo, lo aveva detto, ha detto Turi…ambarabaciccicoccò, ahi ahi, cu chissi vene ‘u core…ah!! Giovà, minchia è un pazzo”.
Il Ros continua a registrare: “Abbiamo mezzo arsenale – dicono i due picciotti – ce la possono solo sduculiare, ci vogliono quelli che le maneggiano…bella, era tenuta pulita era, senza manco…le cose si tengono pulite, senza una goccia di ruggine”.
Ancora Di Benedetto e Pappalardo: “Minchia hai capito che ha, lui ha una strada, compra là sopra, gliele portano impacchettate, infatti si vedono…forse che non ha sparato nemmeno un colpo…nuova…nuova…nuova! Lo vedi che non faceva nemmeno puzza di polvere! Nuova di zecca, addirittura mi ha detto che ne ha una con il silenzioso che non parla che è la fine del mondo, minchia ma allora sono io proprio, mi sto, mi sono fatto piccolo piccolo”.
Durante l’udienza di convalida del fermo, Franco Pinto si è detto estraneo ai fatti, affermando di non conoscere né Pappalardo, né Di Benedetto, né Salvatore Seminara, sostenendo di non avere niente a che vedere con le armi e di conoscere solo Corra perché abitante nello stesso quartiere”.
Stesso discorso per Giovanni Pinto, che si è dichiarato estraneo ai fatti, sostenendo di conoscere solo Corra e Francescoi Santapaola perché cresciuti nello stesso quartiere. Secondo gli inquirenti i Pinto mentirebbero.