Le mani del clan sulle discoteche | Laudani: “Questione di prestigio” - Live Sicilia

Le mani del clan sulle discoteche | Laudani: “Questione di prestigio”

Le carte della magistratura: tutto sui "vicerè" Puglia, Raimondo e Pizzino.

l'inchiesta
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CATANIA – Vittima di estorsione ma anche agevolatore degli interessi del clan Ladani. Questo, secondo la Procura di Catania, il doppio volto di Nino Puglia, imprenditore giarrese, noto per la gestione di alcune tra le più rinomate discoteche di Giardini Naxos e Catania, arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e trasferito nel carcere di Messina Gazzi. E’ ancora una volta il pentito Giuseppe Laudani a ricostruire dettagliatamente i rapporti con l’indagato. Nel 2004, appena uscito dal carcere, chiede e ottiene di conoscere Puglia. L’obiettivo è tornare ad occuparsi stabilmente delle discoteche, come da tradizione di Famiglia. Le uniche rimaste a Giardini Naxos, all’epoca, sono Marabù e Taitù, gestite dall’imprenditore. Giuseppe Laudani decide di riprenderle in mano, occupandosi direttamente delle estorsioni, fino a quel momento appannaggio del gruppo di Giarre. “Per me personalmente non era una questione di soldi ma era una questione di prestigio questa questione delle discoteche”, dice il pentito ai magistrati che lo interrogano.

I soldi andavano versati ogni festa comandata e non solo. Anche in occasione delle grandi serate, quando gli incassi schizzavano, la torta andava spartita con il clan. Ma questa non sarebbe stata l’unica coercizione subita. Per accontentare Alessandro Raimondo, altro affiliato finito ieri in manette e da sempre interessato a curare il servizio di sicurezza nei locali, Giuseppe Laudani impone, è lui stesso a dirlo, all’imprenditore la sua assunzione. “Nino Puglia non lo voleva là dentro perché faceva più casini che altro”, spiega il super pentito. Nel 2007, durante la latitanza di Giuseppe Laudani, la sicurezza dei locali viene affidata, per volere del cugino Sebastiano Laudani, “Iano il piccolo”, alla società di Ottavio Pizzino, anch’egli indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. A lamentarsene è lo stesso Alessandro Raimondo. La cosa fa andare su tutte le furie Giuseppe Laudani. E’ lui stesso a raccontare la reazione. “Questo succede quando io sono latitante, Alessandro mi fa sapere di questa cosa con Santuccio, tant’è vero che io scendo e in una di queste serate ci andiamo armati…Gli ho spiegato che me l’ero presa con Nino Puglia per questa situazione…”. Non molto tempo dopo, però, Raimondo entra in società con Pizzino. Insieme iniziano a gestire il servizio di sicurezza di numerose discoteche. Secondo la Procura Ottavio Pizzino avrebbe “offerto alla famiglia una stabile copertura formale e apparentemente lecita alla attività di gestione della sicurezza nelle discoteche effettuata da Alessandro Raimondo per conto dei Laudani”. Così facendo avrebbe aiutato il clan a controllare le discoteche.

Quando Nino Puglia prende in gestione anche il Sobha e il Capannone a Catania è costretto a versare al clan nuove somme di denaro per il “pizzo”. A confermarlo altri due collaboratori di giustizia, Nazareno Anselmi e Carmelo Riso. Quest’ultimo racconta di essere stato incaricato da Giuseppe Laudani di dire all’imprenditore, che fino ad allora pagava solo gli affiliati giarresi, che da quel momento avrebbe dovuto versare il denaro direttamente alla Famiglia. Gli interessi non si limitavano alle estorsioni. Gli esponenti del clan, controllando la sicurezza e quindi gli ingressi nel locale, gestivano di fatto l’attività di spaccio. Cocaina, ecstasy, marijuana, le sostanze vendute. Sarebbe proprio questo il cardine dell’accusa. Secondo la Procura di Catania l’imprenditore giarrese, consentendo ai Laudani la gestione del servizio di sicurezza nei locali, avrebbe di fatto permesso agli esponenti di incassare ingenti somme di denaro derivanti dallo spaccio, gestito in regime di monopolio, e di accrescere anche il proprio prestigio davanti agli altri clan, considerato che quei locali erano frequentati da migliaia di persone.


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