CATANIA – “Qui l’amicizia non c’entra nulla. Questa è politica”. Così, il mecenate Antonio Presti, liquida la polemica dei giorni scorsi – in realtà scoppiata lo scorso mese di dicembre, dopo l’interruzione del tradizionale rito della luce per motivi di sicurezza – esplosa dopo l’annuncio di voler abbandonare Catania. E lo fa rispondendo direttamente al sindaco Bianco che, dopo aver appreso delle intenzioni di Presti di non mettersi più a disposizione della città etnea, ha inviato una nota nella quale definiva le parole del mecenate una “provocazione”, ricordando l’affetto e l’amicizia che lega da tempo i due.
Ma risposta non poteva essere più sbagliata. Almeno a giudicare dalla reazione di Presti che si toglie qualche altro sassolino dalla scarpa, incalzato da LiveSiciliaCatania, su una situazione che ha del paradossale. “Il fatto è che non c’è il minimo rispetto per il lavoro fatto – continua Presti. E non è accettabile che, se faccio una denuncia, mi senta rispondere “siamo amici”. Questa è politica, non amicizia. Né tantomeno io sono un provocatore, ma una persona che si occupa di politica culturale”.
Nessun capriccio, dunque, nessun mal di pancia né presa di posizione “infiammata”. Antonio Presti ci tiene a spiegare le motivazioni della sua scelta, che ribadisce “è temporanea, quanto temporanee sono le amministrazioni comunali”. Perché il problema, quello vero, sarebbe proprio l’amministrazione attuale, guidata da Enzo Bianco “irriconoscente” nei confronti del lavoro svolto e che non approfitterebbe della donazione da parte della Fondazione Fiumara d’Arte.
“Io da anni chiedo alle istituzioni di dare un valore di continuità e di rispetto nei confronti dei miei progetti culturali – aggiunge Presti – perché il valore di quanto realizzato è anche nel consegnare questo patrimonio al futuro. A Catania ho investito 15 anni della mia vita, ma Librino ha bisogno delle istituzioni che devono essere garanti di questo progetto. Io non chiedo alcun contributo – aggiunge – ma di costruire un percorso virtuoso. Un discorso noto a questa amministrazione che sin dall’inizio pensavo potesse appoggiarmi. Pensavo che Bianco potesse essermi più vicino. E invece, non c’è rispetto per il lavoro fatto”.
Il rito della luce interrotto, la porta della bellezza lasciata in mezzo al degrado. Tanti gli elementi che hanno spinto il mecenate a dire addio a Catania. “Il rito era l’inizio di una continuità che volevo donare alla città – afferma. Rispetto quanto accaduto – dice ancora – ma l’amministrazione, anziché difendere un dono, ha preso le distanza lasciando un privato da solo a discutere di cose che non gli competono”.
Insomma, si sarebbe trattato di uno sgarbo istituzionale, un’assenza di bon ton che il mecenate non gradisce. “Io lo so che Catania mi ama e che Librino mi ama – continua – ma, istituzionalmente, non posso accettare una risposta come quella che ha dato il Comune”.
E continua a parlare della sua delusione e amarezza, anche per quanto riguarda l’attivazione delle classi superiori a Librino. “Ho lottato per la scuola superiore ma, quando il Comune ha attivato il corso, io non sonon stato nemmeno chiamato. Io non ho mai amato le passerelle – sottolinea ancora – e continuerò a lavorare per la bellezza, per chi la riconosce. Non è provocatorio donare un museo. É politica pura. Ma la politica, quella dei voti, non lo capisce. Ma i sindaci vanno e vengono”.
Quello di Presti non è un addio, dunque, ma un arrivederci. Magari a un altro sindaco. “Non lascio Catania – conclude – ma non ci sono, in questo momento, i presupposti e la serenità per rispondere a chi parla di un’amicizia, che per me non c’è più”.