“Loris me lo ricordo, un bel bambino vivace di 9 anni, insieme alla madre, Rosalba. E ricordo una ragazzina slava 14enne che abitava vicino alla loro casa. A Poggio Picenze ci conosciamo tutti, fa poco più di 1000 abitanti, 300 immigrati, quasi tutti slavi, conosciamo di vista anche loro. E ora non ci sono più”. Poggio Picenze è un piccolo paese in provincia de L’Aquila, a parlare è la signora Marisa Torrecchia, siciliana, figlia di padre abruzzese. In quel comune vive sua cugina insieme ad altri parenti, loro per fortuna stanno bene e si stanno preparando a vivere la loro prima notte da terremotati, ancora sotto shock. Loris e la mamma, insieme alla ragazzina slava, invece, sono morti nel crollo. Le prime vittime di una tragedia dai numeri ancora incerti. “I miei parenti stavano di fronte l’edificio che è crollato. Hanno provato a scavare per cercarli ma poi li hanno trovati morti”. E’ ancora presto per capire se si trattasse di una tragedia annunciata. Al momento queste sono le prime frammentarie testimonianze: “Da tre mesi in quel paese dicono di avvertire delle scosse, mia cugina me lo dice da prima di Natale. Scosse di terzo, a volte anche quarto grado. Quando Maria mi chiamava la sera mi diceva che ormai si erano abituati all’idea. Come ieri notte”.
L’ultima telefonata prima della tragedia
L’ultima telefonata prima del sisma poco prima delle 23: “Si trovavano al bar, il punto di ritrovo del paese. Erano tranquilli, non avrebbero mai immaginato di trascorrere la notte fuori”. Dopo il boato, frazioni di secondi che dettano reazioni istintive. C’è chi riesce a vestirsi, chi corre via dalle case in pigiama. “Il figlio di mia cugina è scappato saltando a piedi nudi sulle macerie – racconta la signora Torrecchia – lei invece ha fatto in tempo a vestirsi e può comunicare con noi perché per caso aveva in tasca il telefono e il caricabatteria. Alle 6 del mattino mi ha chiamato e le prime parole sono state ‘E’ finito tutto, è tutto distrutto’”.
Una notte da sfollati
Nella prima notte da terremotati, dopo una grandinata, la protezione civile sta cercando a fatica di montare le tende per gli sfollati. C’è chi deve scegliere se dormire in tenda o in macchina, una sistemazione ugualmente precaria ma apparentemente familiare. “Loro non hanno ancora deciso, le loro case sono tutte lesionate, hanno il divieto di entrarvi e non hanno idea di quanto gravi siano i danni, è pure andata via la luce – aggiunge la signora Torrecchia – ma fa un effetto terribile vedere quei gioielli distrutti, era una zona bellissima di borghi medievali, adesso pure il campanile della Chiesa è storto. Spero tanto che i soccorsi siano immediati e che non facciano passare gli anni abbandonando le vittime, come è successo per altri terremoti”. E il pensiero va subito a chi non c’è più, come lo sguardo vivace di Loris. Un sospiro, la voce emozionata e triste che dice: “Era troppu tuostu stu picciriddu”.
Il paese di mio nonno…
“Nel paese di mio nonno stanotte sono morte cinque persone. Ho pensato subito a lui, agli occhi azzurri e limpidi come l’acqua di mio nonno Giulio, maresciallo dell’aeronautica abruzzese con lo sguardo che gli brillava quando tornavamo d’estate nella sua terra”. Alessia è la nipote siciliana di Giulio, i suoi ricordi d’infanzia sono legati al borgo di Poggio Picenze, dove a giugno la famiglia si riuniva per festeggiare il santo patrono, San Felice. “A 18 anni è venuto in Sicilia per il servizio militare, qui ha conosciuto mia nonna e si sono sposati, ma tutto l’anno aspettava quel mese per rivedere i suoi tre fratelli e l’unica sorella. Quando arrivava nella sua terra sorrideva in modo diverso e gli brillavano gli occhi, ne era orgoglioso e fiero e quando rivedeva suo fratello, Guido, diventava un bambinone, passavano tutto il tempo a ridere”, aggiunge Alessia. I suoi parenti abruzzesi fortunatamente sono vivi, anche se non hanno più una casa. Gli affetti e i ricordi sono tutti in Abruzzo, anche per i nipoti: “l’odore dello zafferano mi riporta sempre con la mente a quei luoghi, in quel paesino fatto di strade strette e di gente che si conosce tra di loro, come fosse una grande famiglia, al parroco della chiesa che ha ancora un ruolo fondamentale in quel paese, dove le persone sono genuine e semplici come il cibo e la pasta che le nostre zie facevano in casa”, aggiunge la giovane. Adesso invece si parla di morti, feriti, ma anche traumi da affrontare, superare o nascondere. “Mio nonno ha 94 anni e per fortuna non è più in sé. Dico per fortuna, perché per l’Abruzzo nutriva un amore viscerale e sapere di questa tragedia sarebbe un colpo troppo forte. Ancora adesso per farlo mangiare e bere mia zia gli racconta che quello che sta mangiando o bevendo viene da Poggio Picenze e solo così continua a vivere – racconta Alessia emozionata – Perfino il caffè che beve gli dicono che viene dal Bar di Pinzone, un suo vecchio amico”.