Irrituale. La mossa di Monti sfregia con l’acido muriatico 60 anni di Autonomia e rischia di far saltare schemi e strategie politiche. Palazzo Chigi entra a gamba tesa su Palazzo d’Orleans, chiede date certe per le dimissioni di Lombardo ma non spiega perché. Il premier vuole sapere chi è il referente istituzionale per discutere su come uscire dalla crisi economica che sta stritolando la Sicilia? Sarebbe bastata una telefonata informale al governatore. Se la richiesta parte invece su carta intestata della Presidenza del Consiglio vuol dire che la strada è tracciata: Roma vuole mani libere per intervenire, avviando probabilmente l’iter per un possibile commissariamento della Regione.
Questo giornale da mesi conduce una battaglia contro le inefficienze della Regione e dei governi presieduti da Lombardo. Ma in questo caso la mossa così sfacciata di Monti nasconde dei coni d’ombra che non ci convincono. Arriva, infatti, dopo una campagna di stampa nazionale possente e senza precedenti. Campagna rilanciata due giorni fa dall’uscita pubblica del leader di Confindustria Ivan Lo Bello che ha ipotizzato scenari greci per l’Isola. A memoria d’uomo solo Prodi, e pure informalmente, pressò sulle dimissioni dell’allora governatore Totò Cuffaro. Ma questo avvenne all’indomani di una condanna di un Tribunale per un reato che ha poi portato il presidente della Regione a Rebibbia. Oggi l’ultimatum è soltanto politico. E politicamente può avere riflessi sulla campagna elettorale appena avviata. Non a caso mentre le agenzie battevano la lettera di Monti, Rosario Crocetta, in un comunicato definiva l’idea del commissariamento come una manovra dilatoria per far slittare il voto di ottobre.
Rinvio che farebbe comodo ai principali schieramenti politici che in questo momento sostengono il governo nazionale dei tecnici. Angelino Alfano non sa che pesci prendere dopo l’uscita di Berlusconi, stretto come è dall’annuncio di primarie che in Sicilia il Pdl non farà più e l’autocandidatura di Gianfranco Miccichè che ha stretto accordi più o meno ufficiali con Alemanno a Roma, Musumeci e Urso in Sicilia. Il Pd non sta tanto meglio, bruciato dalle mosse di Crocetta e con una segreteria debole che si lecca ancora le ferite dell’appoggio a Lombardo.
Proprio il governatore, in questo momento, è il nemico e uomo forte da sconfiggere. La tornata di nomine di sottogoverno, nomine dal timbro chiaramente elettorale, ha gettato nel panico i partiti. Il rinvio delle elezioni e un possibile commissariamento della Sicilia darebbe tempo per nuovi accordi e strategie.
Già, ma come si può commissariare la Sicilia? Lo Statuto prevede l’intervento di Roma solo in caso di gravi inadempienze, quale ad esempio la mancata approvazione del bilancio. Qui il bilancio, seppur con grandi difficoltà, è stato approvato e quindi l’alibi sarebbe caduto. La palla passa a giuristi e costituzionalisti. Che dietro a commi e codicilli potrebbero trovare sponda nel rischio default e nei declassamenti imposti da Moody’s. Cavalli di Troia di un’operazione che più politica non si può.