Oggi è un giorno triste, per il giornalismo italiano. Quando un cronista deve rinunciare a fare il proprio lavoro, quando deve rinunciare a raccontare il mondo con i propri occhi, compie una violenza su se stesso, sul proprio istinto, sulla propria natura. Fra qualche settimana, se il ddl intercettazioni dovesse essere approvato in via definitiva, quello che vedete oggi, il silenzio, sarà la quotidianità dell’informazione.
Il ddl interviene pesantemente sul nostro lavoro. Se la legge fosse approvata non potremmo più pubblicare le intercettazioni rilevanti per le inchieste fino al termine delle indagini preliminari (quindi, in alcuni casi, non potremmo spiegare per mesi perché alcune persone sono state arrestate). La pena è fuori portata: per gli editori sono previste sanzioni fino a 300 mila euro, che possono arrivare ad oltre 450 mila in caso di pubblicazione di intercettazioni escluse dalle indagini. Inoltre, per la rivelazione del segreto d’ufficio è prevista una pena da uno a sei anni.
A tutto questo si aggiungono le difficoltà per i magistrati. Abbiamo parlato più volte dei rischi per le indagini: se il reato di associazione mafiosa non viene ipotizzato in partenza, i magistrati potranno registrare le conversazioni degli indagati solo per 75 giorni. Poi servirà una proroga ogni tre giorni: un meccanismo che, oltretutto, intaserebbe di atti burocratici gli uffici dei magistrati, rallentando quella giustizia che il governo a parole dice di voler velocizzare.
Noi non ci rassegniamo al silenzio. Per questo, oggi, abbiamo deciso di ripubblicare tre degli articoli che hanno fatto la storia di “S”, il mensile più venduto in Sicilia. In queste pagine troverete l’articolo di copertina del numero 8 della rivista, “I nuovi capi”, valso a Vincenzo Marannano il premio internazionale di giornalismo “Maria Grazia Cutuli”, quello del numero 12, “Vecchie strategie”, che ha messo a nudo la volontà dei mafiosi di ricostituire la commissione, e il servizio che ha aperto il magazine tre mesi fa, con il quale Riccardo Lo Verso ha rivelato come l’inchiesta sul presidente della Regione Raffaele Lombardo sia in realtà più ampia.
A questa protesta ne uniamo un’altra. Un mese fa, al Senato, 164 parlamentari – fra i quali molti siciliani o eletti in Sicilia – hanno detto sì al voto di fiducia. I loro nomi sono in un articolo correlato a questo. Sin d’ora diciamo che ci sembrerebbe ipocrita, da parte loro, ricordare con quella memoria autoassolutoria, da calendario, il diciottesimo anniversario della strage di via D’Amelio. Da loro, fra dieci giorni, non ci aspettiamo le trite parole della commemorazione di un magistrato che con quel voto di Palazzo Madama è stato ucciso un’altra volta. Sicuramente non saremo noi a riportarvele.
* L’autore è il coordinatore editoriale della rivista S