In tutte le guide e negli articoli delle riviste specializzate ricorre sempre il richiamo alla “enologia di prestigio”. Francesco Lena, arrestato oggi nell’operazione antimafia, ha investito tutto in questo marchio di qualità che, coniugando tradizione e modernità, dalla produzione di vini si è allargata alla gestione di un relais. Siamo a Castelbuono, cittadina medievale delle Madonie che ebbe un ruolo importante al tempo della dinastia dei Ventimiglia. Qui l’ingegnere Lena è arrivato nel 1980 per acquistare una tenuta di oltre 300 ettari incastonata, come è scritto nel sito dell’azienda, “fra il Parco delle Madonie e il mar Tirreno, un angolo di Sicilia unico, dove collina e mare si abbracciano fondendosi in un’immagine che profuma di terra incontaminata”. In questo scenario naturale si trova l’Abbazia Santa Anastasia, che dà il nome alla società vinicola. Fondata nel 1100 dal conte Ruggero d’Altavilla, era abitata da monaci benedettini. L’Abbazia fu poi incorporata nel patrimonio dei Ventimiglia nel 1300 e abbandonata nel 1851 dopo un forte terremoto. Lena ha recuperato il complesso che dal 2002 è divenuto relais, una struttura ricettiva di 29 camere (ognuna chiamata con il nome di un vitigno) dotata di un ristorante e concepita secondo una filosofia imprenditoriale, spesso enunciata da Lena, imperniata sulla salvaguardia dell’ambiente e della natura. Questa è stata anche la linea ispiratrice della produzione enologica passata attraverso una riconversione dei vigneti e l’adozione di un metodo biodinamico che ricorre anche alla concimazione verde. Dal 2007 la società è tra le sette aziende italiane che produce vini biodinamici certificati. Ma se questa attenzione alla qualità ha segnato il successo della produzione, riportato nelle guide enologiche, da dove venivano i capitali investiti nella tenuta? Secondo i magistrati, Lena sarebbe stato un elemento organico di Cosa nostra della famiglia dell’Uditore. Accertati i suoi rapporti con i boss Salvatore Sbeglia, Nino Madonia (di cui sarebbe stato anche prestanome per quattro appartamenti), Francesco Bonura. Con Salvatore Lo Piccolo, come emerge dalle intercettazioni, sarebbe stato in società già nel 1978 quando si occupava di costruzioni edili. Poi il salto nell’industria della “enologia di prestigio” dove gli investigatori ritengono che Lena rappresentasse anche interessi di Bernardo Provenzano. All’Abbazia Santa Anastasia si produceva insomma un ottimo vino di mafia.
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