Dopo gli scontri di ieri pomeriggio seguiti allo sfratto del “Laboratorio Zeta” di via Arrigo Boito, e terminati con un bilancio di tre manifestanti fermati dalle forze dell’ordine e qualche ragazzo ferito, Livesicilia ha sentito Enrico Montalbano, attivista del centro sociale presente al momento dello sgombero e rimasto coinvolto negli scontri.
Montalbano quali sono, innanzitutto, le sue condizioni fisiche?
“Adesso sto meglio, ho fatto una tac di controllo. Ma ieri sono stato menato dalla polizia: mi hanno prima bloccato, poi trascinato per i capelli e quindi hanno cominciato a manganellarmi, colpendomi anche allo stomaco”.
Proviamo a ricostruire la dinamica dei fatti di ieri. Come si è arrivati allo scontro fisico con la polizia?
“Senta io direi che il termine ‘scontri’ è inappropriato. E’ stato un fatto unidirezionale… Pensi che tra i feriti ci sono anche una ragazza e un professore dell’Università di Palermo che tiene corsi di non-violenza al quale hanno rotto il naso con una prognosi di 25 giorni”.
Verificheremo. L’immobile di via Boito, dove c’è il laboratorio, appartiene allo Iacp, ma nonostante questo il Comune di Palermo continuava a pagare l’acqua al centro sociale che addirittura figurava regolarmente nell’elenco dei centri di prima accoglienza della provincia. Perchè si è giunti allo sfratto?
“Da mesi c’erano trattative in corso: aspettavamo l’ufficiale giudiziario per trattare con l’associazione Aspasia e con lo Iacp. Non avevamo avuto nessuna avvisaglia dell’arrivo della polizia. E’ stato un fatto del tutto inaspettato. Noi avevamo sempre seguito le regole e non c’era stata nessuna forma di protesta. Adesso questo episodio rappresenta un atto di tradimento del lavoro svolto finora”.
Che ne sarà ora dei circa 30 sudanesi che vivevano nell’edificio?
“Il Comune di Palermo sta cercando di mettere a disposzione una tendepoli. Loro, per il momento hanno deciso di presidiare l’immobile e si sono accampati davanti il Laboratorio Zeta”. G.P.
(Livesicilia sta contattando la questura per una replica)