PALERMO – Quand’ero bambino, nell’immediato dopoguerra, il mio campo di calcio, stretto o largo, piccolo o sterminato, liscio o accidentato, era la strada, perché succedeva tutto là, nella strada: i giochi di allora, frutto solo di fantasia, “bella e nienti”, “ ’a strummula”, “i quattru canti”, “acchiana u patri cu tutti i so figghi”., “ ‘a banniera”, “u giru d’Italia”, e altri che non ricordo, si materializzavano tutti per strada. Ma ce n’era uno solo che ci trascinava tutti, come un turbine irresistibile, una fata ammaliatrice: era la partita di pallone. O, più precisamente, di palla, palletta, pallina, rarissimamente pallone. Insomma, un che di sferico, da prendere a calci (calci “appropriati” s’intende) così da farla finire fra due pietre piazzate per terra come fossero i pali di una porta dello stadio. Sì, dello stadio. Del nostro stadio, “La Favorita”: è già il nome ci attirava come una calamita. Poterci andare significava “diventare grandi”. Non esistevano ancora gli “oratori”, almeno al Sud, si giocava per strada e vigeva una sola regola: giocava chi “s’a firava”; gli altri, al massimo, facevano i portieri. O le riserve. Che non erano solo quelli più scarsi, ma quell’uno o due ragazzini che sostituivano chi mancava inopinatamente all’appello perché castigato dai genitori, avendo scassato l’ultimo paio di scarpe disponibili. E per formare le due squadre, si faceva la conta e chi sceglieva per primo si assicurava quelli che a suo giudizio sapevano giocare. Non c’erano i ruoli, contava solo chi sapeva giocare.
Il preambolo, del quale mi scuso soprattutto per la sua prolissità, mi serve per spiegare che anche nel calcio tecnologico e supertatticistico dei tempi d’oggi, far giocare “cu sa fira” è la miglior scelta possibile. L’unica, direi. E si è avuta l’ennesima conferma nel Palermo-Bari di ieri, che alla fine si è risolta a favore dei rosanero, sol perché, dopo un primo tempo che definir deprimente è puro eufemismo, Iachini, sin dall’inizio della ripresa ha finalmente deciso di affidarsi a… “cu sa fira”. Cioè, ha messo dentro Lazaar per Daprelà e, dopo l’infortunio di Hernandez, Paulo Dybala, che rientrava dopo oltre due mesi di forzata inattività.
Era il 18’ della ripresa, il Palermo era appena passato in vantaggio su incursione dalla fascia sinistra di Lazaar e suo cross al bacio sul secondo palo – come dettano le regole del calcio, moderno e non – sul quale si era avventato come un ariete Lafferty, che di testa, sovrastando l’avversario, aveva schiacciato in rete. 1-0 per il Palermo e boato dello stadio tutto intero, e non solo della curva Nord, che sin dall’inizio faceva egregiamente la sua parte, cantando : “Noi vo-glia-mo que-sta vit-toria”, o “Palermo facci un gol”. Curva Nord nella quale era stato disteso uno striscione davvero toccante, dedicato ad un ultrà morto tragicamente in settimana per un incidente stradale: “Il tuo ricordo impresso nella mente. A te un saluto della tua gente”. Un boato che sapeva di liberazione per aver dovuto fin lì assistere ad una sorta di paralisi collettiva che sembrava essersi impadronita dei nostri ragazzi per tutto il primo tempo. Finito a reti inviolate solo per una clamorosa traversa di Nadarevic e taluni provvidenziali salvataggi in extremis di Munoz e Andelkovic.
Ma il Bari – un voglioso determinato Bari, altro che squadra in sfacelo per l’autofallimento proclamato in settimana – era riuscito a pareggiare subito dopo, con un’azione un po’ fortunata (lungo rilancio del portiere) che trovava Galano libero sulla tre quarti, ad una ventina di metri dalla nostra porta. Tiro secco di esterno sinistro, giusto nell’angolino all’incrocio dei pali. Imparabile. A quel punto, sembrò a tutti una partita stregata, anche perché il pareggio ci stava tutto, anzi sembrava perfino stretto per i galletti baresi. Se non che due minuti dopo, come già spiegato, si faceva male Abel e lo sostituiva Dybala, accolto subito da un applauso corale che deve avergli riscaldato il cuore e i muscoli. Il ragazzo entrava subito in partita, dribbling, passaggi di prima, scarti improvvisi; insomma, creava lo scompiglio nella compassata difesa biancorossa: “Ma dove l’avevano nascosto questo diavoletto?”, avranno pensato i vari Sabelli, Polenta e Coppitelli. E fu proprio in quel momento che ho ripensato ad un sogno che avevo fatto all’alba (e i sogni, anche se muoiono all’alba, o proprio per questo, sono sempre i più belli), nel quale udivo una voce, che mi diceva: “Tornerà in campo Dybala, che farà il gol della vittoria e così ritroverà non solo la fiducia in se stesso ma quella dell’allenatore e del suo pubblico”.
E d’istinto, senza starci a pensar su, raccontai del sogno al mio vicino di postazione in tribuna stampa, concludendo con queste parole. “L’ho sognato, quindi so che vinceremo con un suo gol!”. Lui mi sorrise bonario, come si fa coi vecchietti un po’ rintronati. Ma c’era il Palermo che finalmente giocava a calcio e non permetteva più al Bari di affacciarsi nella nostra metà campo. Insomma, un assedio, che però abbisognava di un ulteriore innesto di classe. Insomma, un altro chi “sapi jucari”, ho pensato, deve metterlo dentro. E iachini – col quale un certa empatia ci dev’essere – al 33’ gettava nella mischia il compassato Franco Vasquez. E pochi minuti dopo, da una combinazione a tre – Lazaar-Vasquez-Dybala nasceva il gol della vittoria. Dai tre chi “sannu jucari”, messi dentro un po’ per libera scelta e molto per disperazione: palla sulla fascia a Lazaar che si beve l’avversario di turno e smista al centro, dove si è spostato Vasquez, che al volo offre a Dybala, che arriva di volata, una palla deliziosa. L’argentino non ci pensa su un solo istante e colpisce d’interno sinistro.
E’ un gol fantastico, perché Guarna resta di sale, come ammirato da tanta abilità. In effetti non può farci nulla, anche l’avesse voluto, perché il tiro di Dybala si incastra alla confluenza dei pali, là dove nessuno portiere “umano” è in grado di arrivare. E’ il sogno che si avvera, e non è una frase fatta. Ma è anche la previsione di un vecchio ma sempre giovane tifoso rosanero, Gigi Burruano che, nell’intervallo, era sceso in campo al fianco di Minutella e, richiesto di un pronostico, pur dopo quell’inguardabile primo tempo dei rosa, aveva annunciato quasi con protervia: “Vinceremo! “, pausa d’attore consumato, applauso scrosciante e poi : “Sì, vinceremo 2-1. Sicuro!”. E qui l’applauso diventa autentica, corale acclamazione. “Gi-gi… Gi-gi…”. Perché ai tifosi piace solo chi gli parla di vittoria della sua squadra. Sempre. Anche quando sta giocando così male da fargli maledire il destino per essergli toccato in sorte di amare una squadra capace solo di straziargli il cuore.
E’ la vittoria che ci riporta a 4 punti di vantaggio sulla seconda e a sei sulla terza; una vittoria che fa perder la testa a Lafferty che, alla fine, corre ad abbracciare ad uno ad uno i suoi compagni. Lui è fatto così, è un generoso, che dà sempre tutto in partita, va pure oltre, perché, dopo il gol, si toglie la maglia, pur sapendo di essere diffidato. E poi magari si scusa ripetendo, come una litania, la solita scusa: “Non ci ho pensato”.