PALERMO – E’ il 12’ di gioco, Dybala ha appena segnato il gol dell’1-0 per il Palermo e la telecamera inquadra la sua faccia: sembra un bambino felice, cui la mamma ha fatto il regalo più bello. Gli occhi scintillano di gioia e il suo sorriso è un inno alla vita. Paulo non riesce a trattenersi, corre lungo tutto l’arco verticale del campo e lo fa così velocemente da sfuggire all’assalto amorevole dei suoi compagni. Che, alla fine di tanti inseguimento, hanno la meglio, lo bloccano e lo stritolano di abbracci. Lui ne sguscia fuori col suo ciuffo ribelle e i suoi occhi bambini e mostra a tutti con le dita delle due mani il segno della “A”… Questo è il messaggio ai naviganti che sembra mandare con quelle tre dita: “Avete capito, avversari di tutte le latitudini? Ormai dovete rassegnarvi, non ce n’è più per nessuno di voi!”.
Lo abbiamo aspettato per più di due anni, questo gioiellino, questi dodici milioni di euro infilati negli scarpini di un bambino: troppi, si disse, troppi e buttati via, si aggiunse. E lui sempre in silenzio, sempre ad ingoiar veleno, ma senza mai smettere di allenarsi. Senza dire mai una parola sbagliata, senza neppure un alito di ribellione. Poi – e accadeva di tanto in tanto, fra una partita e l’altra malamente giocata di serie A – scendeva in campo, quasi mai dall’inizio e tocchettava di fino, mentre gli avversari lo spazzavano via come fuscello. Qualche gol, qualche gemma, un paio con la Samp, uno con la Lazio, sempre al “Barbera”, poi il silenzio, qualche colpo mal subito da parte dell’avversario di turno ed infine l’oblio. Si disse perfino possibile cederlo al migliore offerente, ma c’era la questione dei dodici milioni e non se ne fece niente. E qualcuno non si lasciò sfuggire l’occasione di infierire brutalmente su Zamparini “non più capace di fare il suo lavoro, se è vero che ha speso tanti milioni per un ragazzino, al massimo buono a giocare nel salotto di casa mia!”. Insomma, un “Dalli all’untore” di manzoniana memoria, rivolto a Zamparini, reo di tutte le colpe possibili, fino all’ultima, quella non più perdonata, della retrocessione, tant’è che allo stadio ci vanno solo i cosiddetti “parenti ra zita”, alla faccia della testa della classifica, conquistata tre mesi fa e resa di domenica in domenica sempre più solitaria. Forse per questo, per questa lunga attesa, che era sembrata quasi un cilicio da portare per sempre, quando con il Bari lui subentra a metà del secondo tempo e poco dopo segna quel gol fantastico, il mio cuore, il mio vecchio cuore malandato si è messo a ballare la danza di Zorba, tanto mi percuoteva il petto, tanto mi balzava in gola fino a chiudermi il respiro. Che d’improvviso però liberai con un urlo sovrumano : “Goooooooooool!… Gooooooooo!”.
Era la rinascita di un campioncino e per più versi la mia rivincita, perché lo avevo sempre difeso, a spada tratta, spesso anche ciecamente, senza guardare la realtà dei fatti, ma solo per intima convinzione, masticando calcio da una vita, nei piccoli e nei grandi campi nazionali, così da potere affermare con un certo orgoglio di “annusare” il campione anche là dove tutti gli altri non avvertono segnali di sorta. A me era bastato vederlo in ritiro, quel suo sinistro vellutato, quel suo ancheggiare che stendeva a terra l’avversario e lo ubriacava di finte, quel suo procedere sempre in verticale, verso la porta. A me era bastato, soprattutto, quel gol d’interno sinistro al volo, su assist di Brienza, alla Samp, col portiere come impietrito a guardare il pallone infilarsi all’incrocio dei pali. Gesto e gol identici al gol segnato al Bari, che regalava ad un Palermo moscio una vittoria forse non del tutto meritata. Meriti tutti suoi, svelati però definitivamente da Iachini, uno che lavora sodo, non fa poesia da mercato rionale, e bada soprattutto ai fatti. Che nel calcio sono i punti e, dopo, ma solo dopo ed eventualmente, il bel gioco. Ah questa tiritera insopportabile del “Palermo che gioca male e per questo che ci vado a fare allo stadio?”, mi aveva veramente stancato, dovendo il tifoso – intendo quello vero e non d’accatto – pensare più ai fatti e alla risalita in A che Iachini stava costruendo che all’estetica e al cosiddetto bel gioco. E più di una volta scrissi pure che per il bel gioco servivano i “bei” giocatori, soprattutto là dove il gioco nasce, si costruisce e si sviluppa, cioè a centrocampo. E noi allora lì avevamo i bravi, ma certo non stilisticamente impeccabili, Morganella, Bolzoni, Bacinovic, Barreto e Pradelà, che tiravano la carretta a modo loro, gettavano perfino il cuore oltre l’ostacolo, ma di trame di gioco belle a vedersi e magari anche efficaci poche o nessuna.
Finché a gennaio Perinetti, che è il vero grande saggio di questo redivivo Palermo, che si fa onore da Nord a Sud, da destra a sinistra, non provvide all’ingaggio di un regista di consumato mestiere come Maresca e di un esterno sinistro forte e aggressivo come il marocchino Lazaar. E cambiò tutto, o quasi, nel gioco della squadra, diventato subito arioso, geometrico e perfino belo a vedersi. 3-0 alla Juve Stabia e 2-0 al Brescia e ieri 2-1 al Pescara, in casa sua.
Al Pescara del ringhiante Cosmi, che nella sua breve esperienza rosanero non lasciò di certo un buon ricordo e, soprattutto, a lui non restò nulla di buono dentro. Solo veleno. Quello che, sin dalla vigilia, ha schizzato da ogni poro della pelle e non solo dalla bocca. E s’è visto subito in campo, dove i suoi dovevano essere stati così caricati da entrare come tori infuriati che si vedevano sventolare davanti agli occhi il drappo rosso dei picadores. Risultato finale: 2-1 per il Palermo e Cosmi che fila via, verso gli spogliatoi, come gli bruciasse la terra sotto i piedi. S’è sfogato alla fine, ai microfoni “istruiti all’uso” di Sky: “ Abbiamo regalato noi i due gol al Palermo. Per il resto non ha fatto un tiro in porta e nella ripresa li abbiamo schiacciati!”. Parole rabbiose, che gli sono sgorgate direttamente dalla pancia senza passare, neanche di sfuggita, dalla testa. Peggio per lui. Io so solo che il Palermo ha governato da padrone per tutto il primo tempo, che ha sofferto la rabbia del Pescara nella ripresa, anche perché i nostri due argentini venivano scientificamente picchiati, ha subito il gol del pareggio dal solito “ex” di turno (uno che per gioire aspetta sempre la partita col Palermo, sapete chi è e non mi va di scriverlo) ma non è stato lì ad aspettare gli eventi, perché in panchina ha un allenatore dalle antenne sempre allerta, che in cinque minuti ha cambiato l’inerzia della partita, sostituendo prima Dybala con Lafferty e poi Vasquez con Belotti: due artisti con due guerrieri.
E dieci minuti dopo il suo ingresso, su corner come sempre magistralmente battuto da Barreto (altra grande prova del capitano), Belotti è salito su come tirato da una corda invisibile e ha colpito di testa così forte e angolato che a Pelizzoli non è rimasto che girare la testa e guardare la palla entrare in rete. Imperioso. Belotti, poi, se n’è andato in giro per il campo, impazzito di gioia, lo hanno abbracciato tutti i panchinari e, prim’ancora, Iachini, che, facendosi largo nella mischia, lo ha letteralmente stritolato. E gli sussurrato qualcosa in un orecchio. Poi spiegherà, sempre ai signori di Sky, cosa: “Ero felice per la vittoria ma anche di più per lui, che ha avuto un brutto infortunio ed era appena rientrato in squadra! Solo io so quanto ha sofferto in questi tre mesi di sosta forzata e questo gol gli restituirà – ed altrettanto avverrà per tutta la squadra – l’entusiasmo per fare tutta una volata fino al 31 maggio”. Poi, siccome è Iachini, uno che raramente si lascia andare, puntualizza: “Purchè ce ne dimentichiamo subito e cominciamo a pensare sin da stasera alla partita col Siena…”.