"Il suo sms che non arriva, poi... | Chi era mio padre Vito Parrinello" - Live Sicilia

“Il suo sms che non arriva, poi… | Chi era mio padre Vito Parrinello”

La storia di un grande palermitano raccontata da sua figlia.

PALERMO- Il padre era l’ombra gentile che vegliava, specialmente di notte. E la notte lo ha preso. Il padre apriva il suo teatro, come si apre una tavola palermitana. Occhi ridenti per primo. Sorrisi per secondo. L’abbraccio per dessert, con la speranza di rivedersi. Il padre aveva uno sguardo pieno di tante, forse troppe, cose: la dolcezza, la bontà e una malinconia sempre accesa come una sigaretta con la sua capocchia di luce a confondere il buio. Il padre, Vito Parrinello, creatore del teatro Ditirammu, era un poeta, un musicista e un uomo terribilmente buono. L’avverbio serve per descrivere quanto sia difficile l’esistenza dei miti, che tutto capiscono e molto sopportano, ma non sono sconfitti. Sono tre anni, in questa quasi estate popolata di paura e di brutti sogni, che Vito non c’è più. La sua chitarra servirebbe per la terapia di una ninna nanna. Sono tre anni che sua figlia Elisa non smette di amarlo, come se ci fosse ancora. E adesso racconta.

Papà ripeteva che bisogna prendere il meglio, soprattutto nei momenti duri. Sì, soffriva anche. Soffriva della cattiveria, del malanimo, delle pugnalate alle spalle, della ferocia sotterranea in cui Palermo è maestra. Ha costruito la sua famiglia con noi, come l’avrebbe voluta da bambino. Si amavano, ma, per diverse ragioni, erano distanti. Lui si chiamava Vito, come il primo figlio morto di polmonite durante la guerra. Papà era un dolce ribelle, innamorato di mia madre, quando la sentiva cantare piangeva. E di lei diceva, scherzando: ‘E’ biedda, avi una vuci bellissima e pure lo stipendio. Fici un affare…”.
Pausa. Rosa e Vito, che grande storia d’amore. Di quelle che qualcuno poi scrive nei libri, perché non sono finte. E narrano una verità non comprensibile a tutti.

Elisa racconta. “Anche io sono una ribelle. Ogni tanto litigavamo, ma in maniera sana. Ci ha insegnato a volerci bene. Con mio fratello, Giovanni, condividiamo un rapporto splendido, vero e infrangibile. Papà diceva: ‘Con voi ho migliorato la specie’. Il suo teatro, il ‘Ditirammu’, è stato concepito come una famiglia allargata. Ha aperto le porte a tutti e tutti coloro che ne fanno parte, nell’istante in cui entrano, diventano parenti”.
Pausa. Il respiro si fa più lento, perché siamo vicini alla profondità. A quel giorno di tre anni fa.

Elisa racconta: “Papà aveva cantato la sera, mi sembrava stanco ed ero preoccupata. Io e mio fratello non lo perdevamo mai di vista e non perdiamo mai di vista mamma. Di notte, vedo che scrive qualcosa su facebook per sua nipote, mia figlia, che adorava. E mi tranquillizzo. La mattina dopo, alle sei gli mando un messaggio e non mi risponde. Era il nostro rito quotidiano. Dopo mezz’ora un altro messaggio. Niente. Chiamo. ‘Mamma, dov’è papà?’. ‘Sta dormendo, era stanco, ieri abbiamo fatto tardi’. ‘Mamma, vai a controllare’. Lui se n’era andato. Avverto il 118. Io e mio fratello lo abbiamo trovato che dormiva come un bambino, sereno, con gli occhi chiusi e con il suo sorriso”.

Elisa fa un’altra pausa. Era restia a parlarne, perché è una persona timida nel mostrare la sua luce più nascosta che viene da laggiù, dove i volti e le carezze sono conservati per sempre.
Ma racconta: “Non riesco a metabolizzare e non ci riuscirò mai. Vivremo nel suo coraggio e con il suo insegnamento: ‘Non fate patti con il diavolo, vi sentirete spaesati e soli quando non ci sarò più, ma continuate, ascoltate il silenzio'”. Questo insegnava il padre.

Quel padre è ancora l’ombra gentile che veglia di notte. L’amore che è andato via, per restare.
Ha lasciato una lettera, pensata qualche anno prima, per i suoi figli, per la sua compagna di viaggio.
Sul foglio, da qualche parte, c’è scritto il suo segreto, il dono della sua anima sotto forma di esempio: “Amatevi sempre”.


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