PALERMO- “Non sono stato io”, Damiano Torrente si rimangia tutto. Nel secondo interrogatorio reso al procuratore aggiunto Ennio Petrigni e al sostituto Felice De Benedittis il pescatore dell’Acquasanta fa un incredibile marcia indietro, dopo essersi autoaccusato dell’omicidio di una donna rumena, avvenuto 5 anni fa.
È un giallo nel giallo, visto che Torrente ha indicato il luogo dove si sarebbe sbarazzato del corpo della donna, gettato in un dirupo a Monte Pellegrino.
I carabinieri e i vigili del fuoco hanno recuperato un teschio, alcune ossa e dei brandelli di vestiti su cui devono ancora essere eseguiti gli esami. Torrente ha smentito se stesso. E non sarebbe neppure la prima volta, visto che ha raccontato che già un anno fa si era autoaccusato di avere ucciso alcuni parenti. Era una bufala.
Ai pubblici ministeri ieri ha detto di avere parlato sotto l’effetto di sostanze stupefacenti che, una volta assunte, gli farebbero perdere la lucidità. Per smentire se stesso, Torrente, rispondendo alle domande, accompagnato dal suo legale, l’avvocato Alessandro Musso, ha detto di non possedere la macchina, una Fiat Punto bianca, con cui sarebbe stato trasportato il corpo, di avere conosciuto la presunta vittima Ruxandra Vesco solo nel 2018 in un locale e non 5 anni fa, che non si frequenta da anni con la moglie, della cui reazione si sarebbe spaventato, almeno così raccontava nel primo interrogatorio.
In attesa degli esami sui resti trovati a Monte Pellegrino di sicuro Torrente ha indicato il luogo dove sono stati ritrovati. Come faceva a saperlo? Il pescatore ha riferito ai magistrati di averlo saputo da un’altra persona, di cui non ha rivelato le generalità.
Il mistero si infittisce. Damiano Torrente aveva parlato della sua “colpa” con un sacerdote, al quale aveva raccontato di quel tarlo che lo stava logorando e dal quale sarebbe stato invitato a denunciare tutto. Lo ha fatto, ma nel secondo interrogatorio ha fatto un incredibile marcia indietro.