“Dobbiamo essere in grado di prevede e salvare i nostri bambini e adolescenti. È terribile quanto è avvenuto oggi a Palermo e non possiamo ‘accendere’ l’attenzione solo dopo un’altra tragedia”. Lo afferma chiaramente il sociologo Francesco Pira, docente all’Università di Messina e componente dell’Osservatorio ‘Internet e Soggetti Vulnerabili’ del Corecom Sicilia, presieduto dalla professoressa Maria Antonietta Astone. “I genitori e le scuole che hanno responsabilità educative – spiega – devono comprendere i meccanismi dei social, conoscere la Rete: sono passaggi fondamentali nella linea educativa delle nuove generazioni. Esistono, inoltre, sistemi di parental control per monitorare su quali siti entrano i propri figli, cosa fanno, quanto tempo ci passano. Se sono chiusi nella loro cameretta per ore, capire cosa stanno facendo. Però è onesto precisare che non possiamo addossare totalmente la responsabilità sui genitori. É la società che si deve fare carico per prima di questo. C’è una responsabilità sociale oggettiva. Dobbiamo lavorare sulle scuole per fare educazione ai sentimenti e uso consapevole delle nuove tecnologie; sviluppare presidi che siano delle vere scuole di formazione per padri e madri, dove spiegare i nuovi pericoli del web, ma anche le possibilità. La morte cerebrale della bambina palermitana è un fatto che riguarda tutti, dalla pubblica amministrazione, alle associazioni di volontariato, il clero, quell’universo che Papa Francesco definisce il filo rosso che lega tutto il mondo del sociale. Di fronte a un’emergenza educativa così grave non possiamo continuare a litigare e rimpallarci le responsabilità, non c’è un rigo sui bambini scritto in nessun programma di governo. Sono necessari nuovi codici, nuovi linguaggi, che riaffermino nelle nuove generazioni i valori fondamentali del rispetto per sé stessi, per il proprio corpo e della vita”.
Tik Tok può generare un fattore rischio più elevato degli altri social network?
“Tik Tok ha caratteristiche particolari: facile da installare, non serve neanche un profilo e gli utilizzatori sono spesso bambini al di sotto del 13 anni, che è il limite sotto il quale non ci si può iscrivere. C’è un altro aspetto che denuncio da tempo, ci sono sfide sempre più pericolose e minori che espongono la loro immagine senza alcuna protezione. Tutti possono vedere tutti, non ci sono restrizioni e blocchi. Sta diventando diffusissimo tra i bambini delle elementari. Le challenge sono una vera arma di fidelizzazione e manipolazione e generano una sfrenata mania ad essere protagonisti, ad ogni costo, nel proprio gruppo di pari, fino alle conseguenze più estreme (le cosiddette black out challenge)”.
Il fenomeno è sempre più diffuso.
“La challenge ha di solito un titolo accattivante che nasconde insidie anche molto gravi. Una gettonatissima durante il lockdown è stata la ‘shoe challenge’, che consisteva nel provare il maggior numero di scarpe e vistiti in 15 secondi, il tutto rigorosamente a tempo di musica: succedeva, così,di spogliarsi completamente in nome della sfida, con un rischio pedopornografia altissimo, dove moltissime ragazzine sono pronte a denudarsi. Su Tik Tok c’è anche un altro aspetto, la costante ricerca di dover piacere a tutti i costi, esporre il proprio corpo la propria intimità: il canone di bellezza tipico del social sono ragazzine magre, capelli lunghi neri, labbra carnose, molto svestite, che ballano imitando i cantanti preferiti, anche a nove e dieci anni”.
Il professore Pira avverte: “I social network, sono diventati luoghi prevalenti di costruzione identitaria, se voglio definire la mia identità, la mia sessualità lo faccio sui social. Nel suo nuovo libro ‘Figli delle app’ a breve nelle librerie (edizioni Franco Angeli) il sociologo ha analizzato su un campione molto ampio alcune dinamiche social che “mettono al centro l’individualismo, la concentrazione su di sé; sono il luogo della democratizzazione del privato, dove vado ad auto rappresentarmi, ad auto narrare, dove realizzo la proiezione che voglio dare di me agli altri e, magari, lo faccio diventare il posto per eccellenza dove gli altri esprimono il loro gradimento su di me e mi vanno a ridefinire”.