PALERMO – Sulla ricostruzione degli ultimi istanti di vita di Roberta Siragusa, 17 anni, ci sono ancora dei vuoti. Non tutto è stato chiarito, ma abbastanza, secondo l’accusa, per chiedere e ottenere l‘arresto del fidanzato Pietro Morreale, 19 anni per quel corpo martoriato di Roberta, le cui immagini lasciano sgomenti.
I pubblici ministeri della Procura di Termini Imerese e i carabinieri hanno ricomposto i tasselli di una giornata maledetta, finita con il corpo di Roberta ritrovato in dirupo, parzialmente bruciato. L’autopsia sarà eseguita fra martedì e mercoledì.
Il pomeriggio di sabato 24 gennaio Roberta e Pietro sono insieme a casa di lei. Il ragazzo si trattiene per cena, ma ha mal di pancia a mangerà la pizza più tardi, da solo. Caccamo, come il resto della Sicilia è in zona rossa, non si dovrebbe uscire, ma gli amici hanno deciso lo stesso di organizzare una riunione a casa di una di loro. Alla fine Roberta e Pietro decidono di andarci. Roberta entra in camera da letto dei genitori e li avvisa. Sono le 23:15, dice che tornerà verso l’1.
È l’ora in cui vanno via dalla villetta dell’amica. Pietro probabilmente le ha chiesto di appartarsi. La collocazione temporale si acquisisce attraverso i messaggi che Roberta si è scambiata con un amico. All’1.06 lei scrive: “Devo staccare”. All’1:07: “Vediamo che vuole quello”. All’1:09 “Torno tra mezz’ora non più tardi”. All’1:30 un nuovo sms: Pietro vuole consumare un rapporto sessuale. Il ragazzo le scrive verso le 2:30, vuole essere chiamato per qualsiasi cosa. Roberta non risponde.
Alle 2 di notte un amico chiama Pietro. Si mettono d’accordo per giocare da lì a poco ai videogames. L’amico ricorderà che la sua voce era ovattata, come se si trovasse in macchina. Non giocheranno quella notte.
La Fiat Punto di Pietro Monreale transita due volte lungo la strada dove è stato ritrovato il corpo. Il primo passaggio è delle 2:37 ed è tornato indietro alle 2:43. Successivamente alle 3:28 con rientro alle 3:40.
Dove si sono appartati? Quasi sicuramente accanto al campo sportivo dove i carabinieri trovano le chiavi di casa di Roberta e alcuni oggetti bruciati. È qui che è stata uccisa e poi il corpo gettato fra le sterpaglie?
Alle 6:20 la mamma di Roberta si alza per andare all’impresa di pulizie dove lavora. Si accorge che la figlia non è rincasata. Chiama Pietro, nessuna risposta. Chiama la mamma di Pietro e si fa passare il figlio che alle 7:15 le dice di averla accompagnata a casa verso le 2. Ha atteso che carcasse il portone.
Stessa cosa ripete a un amico che gli telefona tre minuti dopo le 8. Si sono messi tutti alla ricerca di Roberta. Tutti tranne il fidanzato. Le descriveranno stranamente tranquillo, disinteressato, lui che ha una forma di gelosia ossessiva.
Poco dopo le 9 di domenica mattina un amico di Roberta e un vicino di casa della famiglia Siragusa chiamano i carabinieri per denunciarne la scomparsa.
Alle 9:29 Pietro, il padre e un avvocato vanno in caserma. “È successa una cosa grave”, dice il genitore. Allertano un’ambulanza, i carabinieri seguono la macchina con Pietro a bordo. Li sta accompagnando nel luogo dove dice che Roberta “è morta”. Si fermano prima in una piazzola, poi il ragazzo indica il dirupo: “Si è data fuoco e si buttata di sotto”.
Sapeva che Roberta fosse morta, ma per due volte, alla madre a un amico, il fidanzato ha detto di averla accompagnata a casa. Per l’accusa è solo una delle tante bugie con cui sta tentando di scrollarsi di dosso l’accusa di omicidio. Ha pure detto di essersi bruciato la mano nel tentativo di spegnere le fiamme. Poi, il silenzio. Si è avvalso della facoltà di non rispondere.
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