Freddato con 8 colpi di una 7,65 a un paio di metri di distanza, ma la mafia non c’entrerebbe. E’ questo il primo orientamento degli investigatori che indagano sull’omicidio di Vincenzo Urso, ucciso sabato sera ad Altavilla Milicia, provincia di Palermo. Urso, 30 anni, era titolare col fratello di una piccola ditta di movimento terra che si sta occupando dello sbancamento di un terreno. La sua fedina penale è intatta, il suo giro d’affari troppo piccolo per aver dato fastidio a qualche altra azienda in mano ai “mammasantissima”, in un territorio colpito recentemente dalla scure delle indagini che hanno azzerato le famiglia mafiose di Trabia, Termini Imerese e Sciara. Una punizione troppo severa per non aver semplicemente pagato il pizzo.
Quindi si scava nella sua vita. Per tutto il pomeriggio i carabinieri del gruppo di Palermo hanno sentito familiari e amici di Urso. Al vaglio degli inquirenti c’è anche il telefonino della vittima attraverso il quale si potranno sapere quali siano stati i suoi ultimi contatti. Urso è stato ucciso dopo aver lasciato la fidanzata a casa e molti elementi fanno pensare che conoscesse il suo assassino. Il fratello – primo ad accorgersi dell’accaduto – quando ha sentito gli spari e si è affacciato non ha visto nessuno.
Di certo c’è che l’uomo è stato raggiunto da due colpi al torace e uno al braccio sinistro. La vittima sarebbe stata colpita lateralmente, da un’unica arma: i proiettili sono entrati dal fianco. Questo dice l’autopsia. Anche il fatto che solo tre spari su otto abbiano fatto centro, fa allontanare gli investigatori dall’ipotesi di un killer professionista assoldato dalla mafia. Resta, dunque, il giallo di Altavilla. Il delitto sarebbe riconducibile a vicende personali forse legate al lavoro.