Il potere politico e della politica in Sicilia avvolge tutto. Tutto comanda e tutto decide. Se riesci a toccare il suo mantello, sei salvo. La condanna severa del potere, pertanto, colpisce e quasi tramortisce. Possiamo metterla, se volete, anche così. Oppure possiamo parlare di quell’altro potere, impersonato dalla magistratura, che è ormai l’unico soggetto in grado di condizionare la politica e la pubblica opinione. Se la magistratura non interviene, non succede niente. Si continua a coprire, ricoprire, attendere, far finta di non capire. Sino a quando si può. Sino a quando è possibile. E non parliamo solo di ieri, ma anche di oggi, lo sapete molto bene. Si è capaci di ripetere lo stesso copione infinite volte. In queste ore, del tutto umanamente, si manifesta solidarietà al condannato. Non si spende, tuttavia, neanche un aggettivo per i magistrati antimafia che hanno lavorato duramente a Palermo per arrivare alla verità, almeno quella giudiziaria.
Mi pare corretto, invece, che il sostegno vada esclusivamente a questi stipendiati dello stato. I quali, pur vivendo in un sistema giustizia povero di risorse e giornalmente attaccato dal governo di questo paese, sono riusciti a tenere la barra dritta facendoci pervenire a un punto fermo. Non è la prima volta e non sarà l’ultima. La Cassazione ha solo preso atto del buon lavoro fatto a Palermo. Lavoro fatto di parole scritte e parlate, di prove. Il potere e le parole. Il potere delle parole. Le parole che processano il potere. E vincono, qualche volta. Le abbiamo contate. Sono soltanto quarantasette quelle utilizzate dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo per commentare la sentenza di condanna emessa ieri dalla cassazione. Sono del Procuratore capo Francesco Messineo. LiveSicilia ha postato la dichiarazione alle 15 e 15, alle 23 e 45 non c’era ancora alcun commento e nessuno aveva cliccato sul “mi piace”. Cosa significa questo, cari attenti e loquaci lettori di questo giornale? Le riduciamo ancora quelle quarantasette semplici parole. L’ufficio, dichiara Messineo, non commenta le sentenze, prende solo atto che è stato confermato l’impianto accusatorio sostenuto dalla Procura. Punto.
Messe così, sono solo diciassette le parole. Un vero servitore dello Stato sa che le parole sono importanti e non le spreca. E lo sappiamo pure noi giornalisti, anche se spesso ne facciamo un uso smodato. E, perciò, questa volta, non aggiungiamo molto altro. Possiamo solo esprimere l’auspicio, ingenuo, lo sappiamo, che la politica siciliana possa sempre più riempiersi, a tutti i livelli di rappresentanza, di servitori delle istituzioni che parlano poco e lavorano tanto. Davvero. Senza ricorrere alla facile e becera propaganda. Lavorino per il bene di tutti, utilizzando correttamente, per il vantaggio massimo della collettività e dei singoli, le risorse pubbliche. Perché questo deve fare la politica. Il resto sono solo chiacchiere e distintivo. Oppure potere piegato ad interessi di parte. O criminali. O tutte e due le cose.