(rp) Il Palermo calcio non è solo l’amore dei suoi tifosi. E’ un patrimonio per la città, perfino per i palermitani “eretici” (sia detto con tutta la bonomia possibile) che tifano per altre squadre. Il pallone a Palermo è l’unico indicatore col segno positivo, è un fenomeno sociale di riscatto, è un sogno, è qualcosa che ci spinge ad alzare la testa oltre la linea sottile che divide speranza e sconforto. In questa valle di lacrime e munnizza, quante volte Miccoli ci ha regalato un sorriso?
E non bisogna sottovalutare il fatto. Non si può archiviarlo alla voce “giuoco del calcio” per fare spallucce. Si tratta di identità, di senso della dignità, di bellezza e di civismo. Sfortunata è la comunità che ha appena undici ragazzi in brache corte per gioire. Ma pensateci e rabbrividite: se non ci fossero nemmeno loro? Così, i commenti stizziti della serie: quanto era bello giocare contro la Puteolana… sono cocci scagliati senza senso. Si possono comprendere, alla luce accecante della rabbia e del classico masochismo palermitano. Ma la rabbia serve se è capace di sollevarci a un livello superiore dell’amore. Altrimenti, restano cenere, stridore di denti e macerie.
Molti palermitani vorrebbero freudianamente e metaforicamente uccidere il Padre che ha le sembianze corrucciate del sor Maurizio Zamparini. Il problema è che tra Palermo e il Sor Maurizio non corre un rapporto equilibrato. Ieri, nella pancia dello stadio prima della conferenza stampa, il terrore era tangibile. Chi lo chiama Zampa? Chiamalo tu. No tu. No tu… Eppure un cronista romano non si sognerebbe mai di provare timidezza al cospetto di Lotito, né un milanese avrebbe il timore di “impettare” con Galliani. E’ che pure noi della stampa siamo partecipi del sentimento popolare. La sottomissione emotiva nei confronti del sovrano. Oltre la catena, però, c’è sempre la rottura in prospettiva.
Palermo è così. Non solo nel calcio, suvvia. Elegge i suoi santi. Si prostra davanti ai suoi numi tutelari e da costoro inghiotte ogni roba. Infine, si stanca. Li abbandona. Li brucia sul rogo dell’opinione pubblica. Maurizio Zamparini è il sindaco della “Primavera” calcistica. Come capitò al suo predecessore politico, sta sperimentando la seconda parte del film. Che arriva invariabilmente quando la misura si colma. Quando la patina d’amore comincia a staccarsi brutalmente dal suo oggetto riverito. Quando il palermitano si appresta a incendiare la sua speranza dentro un rogo altissimo, in un capolavoro di autolesionismo e autocommiserazione, per rincasare definitivamente.
Vogliamo questo? Vogliamo disperdere l’unico tesoro della nostra disgraziata città? Vogliamo rinunciare ai nostri sorrisi? Vogliamo che Capitan Miccoli, ogni benedetta domenica, galleggi in una pozza di indifferenza? Non sarebbe un buon affare per nessuno. E allora è necessario che passi la notte e che la rabbia distilli gocce di rinnovato amore. E che ci sia finalmente il coraggio da parte di tutti di un rapporto equilibrato col Sor Maurizio, perché la critica serena non esclude la gratitudine. Anzi, ne è il frutto migliore. Tra la schiavitù e il successivo rifiuto, esiste una via di mezzo, la passione degli uomini liberi.
Forza Palermo, gridiamolo insieme con la voce del nostro cuore palermitano in fiamme. Adda passà a nuttata.