Agrigento, il suicidio di Alice Schembri e i ricatti ad altre ragazze

Agrigento, il suicidio di Alice Schembri, i ricatti ad altre ragazze

L'inchiesta che scuote la borghesia agrigentina. Ci sarebbero altri video

PALERMO – È una storia terribile, coperta a lungo da silenzi di paura e vergogna. Il suicidio di Alice Schembri è stato uno choc. Le sue parole, il suo testamento affidato ai social ha continuato a dare impulso alle indagini. Fino a quando non sarebbero emerse le responsabilità di quattro amici della ragazza. Avrebbero abusato a turno di lei, mentre la scena veniva filmata.

Altre ragazze potrebbero essere state filmate con il cellulare durante i rapporti sessuali. Le indagini sono ancora in corso.

Suicidio di Alice Schembri, in molti sapevano

In molti, nella comitiva di Alice, morta suicida a 17 anni nel 2017, sapevano cosa le sarebbe accaduto due anni prima. La memoria dei telefonini di un amico custodirebbe le immagini di rapporti sessuali con altre ragazze. I video sono diventati un’arma di ricatto.

La tragica sorte toccata ad Alice, schiacciata da un peso troppo grande, ha spinto le amiche a tacere. Troppa vergogna per raccontare e giustificare le immagini. Troppa paura per dire la verità, probabilmente sotto la minaccia che i video sarebbero stati messi in circolazione, rovinando la reputazione delle ragazze e destabilizzato lo scorrere della vita negli ambienti della buona borghesia agrigentina.

Tre inchieste per la verità

Le inchieste sono tre. Una della Procura di Palermo che ha spedito l’avviso di conclusione delle indagini a due ventisettenni per la violenza sessuale subita Alice Schembri e la produzione di materiale pedo-pornografico. La seconda è della Procura per i minorenni che coinvolge i due ragazzi che nel 2015 era ancora minorenni.

Uno di questi, ed ecco la terza inchiesta aperta dalla Procura di Agrigento, è indagato per violenza privata ed estorsione. Il fatto che sia la Procura ordinaria agrigentina ad occuparsene è segno che le presunte condotte illecite sarebbero proseguite anche dopo il compimento della maggiore età.

Video come arma di ricatto

I video sarebbero divenuti un’ arma di ricatto, per estorcere cosa? Forse per convincere una ragazza a non troncare la relazione. Per anni i video dei rapporti sessuali sono rimasti nella memoria dei telefonini. La squadra mobile non ha smesso di indagare e sono saltate fuori le immagini.

Alice non ce l’ha fatta. Era una ragazza forte, come lei stessa scriveva, di una forza che però nulla ha potuto per fronteggiare una vicenda troppo più grande di lei. “Questa volta non posso lottare perché non potrò averla vinta mai, come non posso continuare a vivere così, anzi a fingere così”, scriveva sui social.

La difesa: “Rapporti consensuali”

Secondo i pm di Palermo, sarebbe stata violentata. Nessun abuso sessuale, ma rapporti consensuali: sostengono i legali della difesa. Lo dimostrerebbe il fatto che la ragazza avrebbe continuato a frequentare i presunti stupratori negli anni successivi.

Si parla di serate trascorse insieme, anche in compagnia delle rispettive famiglie. Il “non voglio” di Alice avrebbe riguardato il consenso, negato, ad essere ripresa durante i rapporti che sarebbero stati consensuali.

Sarà uno dei temi chiave del processo. La richiesta di rinvio a giudizio è imminente – dirà come sono andate le cose. Restano le parole della giovane suicida: “Questa volta non posso lottare perchè non potrò averla vinta mai, come non posso continuare a vivere così, anzi a fingere così”.


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