Al festival si parla di beni confiscati| Caruso: "La crisi ci rallenta" - Live Sicilia

Al festival si parla di beni confiscati| Caruso: “La crisi ci rallenta”

Presenti alla discussione sul tema "I beni confiscati possono essere venduti?" il direttore dell'Agenzia Nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità Giuseppe Caruso, il presidente di Libera Umberto Di Maggio, il presidente del Consorzio Sviluppo e Legalità Filippo Di Matteo e Giovanni Chelo, regional Manager Sicilia di Unicredit.

PALERMO – “I beni confiscati possono essere venduti?”. Questo il tema del dibattito che ha avuto luogo questa mattina a villa Filippina, dopo l’inaugurazione della sesta edizione del Festival della Legalità. A confrontarsi sul palco il direttore dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità Giuseppe Caruso, il presidente di Libera Umberto Di Maggio, il presidente del Consorzio Sviluppo e Legalità Filippo Di Matteo e Giovanni Chelo, regional Manager Sicilia di Unicredit. A moderare l’incontro il giornalista Claudio Reale.

A prendere per primo la parola il sindaco di Monreale Filippo Di Matteo, che ha spiegato quale possa essere il ruolo di un amministratore locale nel far sì che i beni confiscati non deperiscano. “Il ruolo dei Comuni è quello di attivarci subito. Se guardiamo il numero di beni presenti nel nostro territorio si pensa che sia ad alta densità mafiosa. In realtà non è così, ma è come tanti altri, ma ha la fortuna di essere oggetto di interesse a livello nazionale”.

Nonostante si parli spesso di banche in termini di spread, queste ultime hanno un ruolo importante nella società. A dire la sua a riguardo Giovanni Chelo. “Le banche possono far bene il loro mestiere – spiega il regional manager – se nell’ambito della confisca non sono presenti. Il nostro compito è quello di tutelare i crediti e far sì che il bene non degradi e diventi produttivo. La cosa non è facile ma gli esempi ci sono. Basti pensare al feudo di Verbumcaudo, di Naro dove è nata una Summer School e di un terreno a Brancaccio dove dovrebbero iniziare lavori per la costruzione di una chiesa dedicata a don Pino Puglisi”.

A spiegare il ruolo dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati Giuseppe Caruso. “L’agenzia è nata per realizzare una brillante idea di Pio La Torre, e oggi si pone come obiettivo quello di, sottratti i beni alla mafia, riassegnarli ai territori”. Caruso ha spiegato poi che “soprattutto negli ultimi mesi stiamo agendo in maniera spedita, anche grazie all’ausilio di alcuni istituti. L’ideale sarebbe essere più veloci, ma la crisi di governo rischia di far naufragare la riforma”.

Umberto Di Maggio ha parlato, invece, di Libera e ha precisato che l’associazione nasce come un circuito, “un insieme di soggetti che vogliono fare rete perché da soli non si va da nessuna parte”. “Libera è stata frutto di un lavoro naturale – ha continuato Di Maggio -, perché non ci si può accontentare del simbolismo e dell’idea che un terreno venisse gestito solo per produrre pochi prodotti. Abbiamo così detto che era necessario uno sforzo della politica per dar vita ad un unico soggetto. Uno scatto che chiediamo ancora adesso. Noi abbiamo chiesto centocinquanta unità. Vogliamo utilizzare questi beni confiscati per un fondo per le start up? O la politica mette a parte i propri interessi personali o ha ragione chi crede che la mafia c’è e ci sarà perché c’è stata”.

Dopo l’intervento della giornalista Ina Modica, scrittrice del libro “Speranze nate libere”, che ha ringraziato le autorità presenti per l’aiuto ricevuto durante il suo iter, gli studenti hanno posto delle domande sul tema della legalità, sulla confisca dei beni e dei crediti. Importante l’intervento di Di Maggio che ha reso noto come nel momento della confisca di beni ai mafiosi sussistono delle intimidazioni, ma queste “sono inversamente proporzionali quando i beni sono gestiti da un movimento di popolo e la cooperativa non si ritrova sola. Le minacce ci sono, ma è importante non non parlarne troppo”.


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