PALERMO – “Sono trascorsi sei anni dalla distruzione della mia vita. Ora provo a rinascere, lo devo ad Asia. Ma è terribilmente difficile”. Dolore, speranza, ma anche tanta forza di volontà nelle parole di Giuseppe Giordano, sopravvissuto insieme alla figlia, alla tragedia avvenuta in una villetta di Casteldaccia nel 2018. Era il 3 novembre, una serata di festa con i bambini, tra musica, giochi e regali. Ma cominciò a piovere e la situazione degenerò nel giro di pochi minuti.
Le nove vittime
Fu l’inferno: la furia dell’acqua travolse tutto e la casa in cui si trovavano tredici persone fu investita dal fango. Soltanto quattro i superstiti. Il maltempo che durante quel fine settimana colpì il Palermitano provocò infatti l’esondazione del torrente Milicia e sterminò la famiglia dell’uomo. Giordano perse la moglie, Stefania Catanzaro, il figlio Federico di 15 anni, la figlia Rachele di 3 anni, i genitori, la sorella, il fratello e il nipote. Nella strage morì anche Nunzia Flamia, madre di Luca Rughoo, il cognato che riuscì a mettersi in salvo.
“Sono andato via da Palermo, troppi ricordi”
“Ho più parenti al cimitero che a casa. Non potevo più rimanere a Palermo, non ce la facevo”. Giordano spiega così la sua recente decisione di lasciare la città e di trasferirsi a Milano: “Una scelta molto sofferta, ma necessaria – dice -. Da quella notte maledetta coinvivo con un dolore lancinante che ogni giorno diventava più forte. Ogni luogo, ogni situazione, a Palermo, mi ricordava quello che è successo e tutte le persone che ho perso. Sensazioni che non mi abbandonano, ma qui ho almeno la possibilità di lavorare e di andare avanti. Devo provare a farmi forza per mia figlia, l’unico mio motivo di vita”.
Asia aveva 11 anni quando è avvenuta la tragedia: “Adesso ne ha 17 ed è qui con me. Condividiamo il dolore, i ricordi, ma anche la volontà di farci coraggio e di proseguire questo cammino insieme per trovare la serenità”. A confermarlo è lei stessa: “Starò sempre vicino al mio papà – dice la ragazza – è il mio punto di riferimento, il mio appiglio per trovare un equilibrio. Purtroppo ricordo tutto di quella notte, ogni istante”.
La figlia: “Ricordo tutto, ma voglio andare avanti”
“Ricordo mio padre aggrappato a quell’albero grazie al quale è riuscito a salvarsi – dice -. Ricordo le urla, quell’acqua che non finiva mai. E questi pensieri sono impressi nella mia mente. Più vado avanti, più conviverci è complicato. Soffro di attacchi di panico, ma spero col tempo di essere più serena, di viaggiare, trovare un lavoro e crearmi una famiglia, grazie anche ai sacrifici che sta facendo mio padre”.
La villetta doveva essere demolita
La villetta in cui la famiglia trascorreva le festività e i fine settimana era abusiva e una sentenza del Tribunale del 2010 ne aveva imposto la demolizione. Un ordine disatteso, tanto che era stata affittata a Giordano. “Come potevamo sapere tutto questo? Ci fidammo dei proprietari, ci sentivamo al sicuro lì. Non avremmo mai potuto immaginare che quella casa si sarebbe trasformata in una trappola mortale”.
“Proviamo a rinascere”
“Mi manca la mia vita di una volta, ma non può tornare – prosegue Giordano -. Non mi resta che accettare la realtà e provare a rinascere in un contesto nuovo, dove per fortuna ho adesso anche degli amici. I familiari che mi restano, in questi anni ci sono stati molto vicino, ma nulla può riempire il vuoto in cui sono precipitato”.
“Gli ultimi fatti di cronaca non mi aiutano: altre persone stanno vivendo sulla propria pelle quello che provo – dice Giordano – visto che le alluvioni si ripetono e seminano morte e distruzione. Ogni volta che leggo notizie del genere ho un colpo al cuore e rivivo quei tragici momenti: la lotta contro la furia dell’acqua, il fango, la disperazione provocata dall’impotenza. A confortarmi, per fortuna, ci sono l’abbraccio e l’amore di mia figlia. Ora speriamo in un futuro migliore”.