PALERMO – Nuova puntata del duello tra Franco La Torre e don Luigi Ciotti. Dopo le parole del figlio del deputato regionale del Pci ucciso dalla mafia, che nel 2015 si dimise da Libera in aperto contrasto con don Luigi Ciotti sulla gestione dell’associazione, oggi arriva l’affondo del sacerdote: “Le cose che lui viene a dire non corrispondono alla verità ma io nutro per Franco La Torre un senso di grande rispetto e di grande dignità – dice don Ciotti a Mlx su Radio 24 – perché chi ha avuto delle ferite così profonde merita solo grande rispetto. Le sue opinioni non sono condivise dall’associazione”.
“Perché, cosa dice lui?”, gli chiede il giornalista Giovanni Minoli. E Don Ciotti spiega: “Che noi siamo stati assenti sulla storia della Sagunto a Palermo, e a Roma su Mafia Capitale e che ci sono all’interno dei dirigenti non in grado di operare: peccato che faceva parte anche lui di questa squadra. Ma è anche vero che noi su questi temi eravamo presenti, li abbiamo denunciati in modo serio, attento. Ripeto, però, io ho rispetto per le fatiche delle persone”. E a Minoli che gli chiede se sia vero che l’ha espulso con un sms, Don Ciotti replica: “Io gli ho risposto che ero disponibile a incontrarlo, ho risposto al suo sms”. “E’ da 50 anni, da quando io sono impegnato che arrivano gli attacchi, i giochi, le strumentalizzazioni”, conclude il fondatore di Libera. “Sapete, su 1.600 associazioni, se cinque persone prendono delle posizioni bisogna chiedersi anche perché”, conclude.
Intanto, da Palermo, dove ha partecipato a un convegno della Cgil, la presidente della commissione parlamentare Antimafia, Rosy Bindi, è tornata a parlare della necessità di “rimuovere le ombre” proprio nel fronte impegnato attivamente contro Cosa nostra: “Sull’antimafia abbiamo aperto un’inchiesta, tra l’ilarità di alcuni che criticavano il fatto che l’antimafia indagasse sull’antimafia. La lotta alla mafia – ha affermato – ha trovato in prima fila una società civile e delle istituzioni più mature e tutto questo è partito da Palermo, per questo riteniamo che le ombre che si aggirano intorno al movimento antimafia debbano essere rimosse. Noi lavoriamo perché questo lavoro non venga delegittimato, si scoprano eventuali comportamenti ambigui di chi magari si nasconde dietro l’antimafia per perseguire interessi propri. Noi lo accerteremo perché la lotta alla mafia è un obiettivo prioritario. Nessuno può pensare di percorrere strade secondarie. D’altra parte – ha concluso Rosy Bindi – va precisato che per via dei comportamenti sbagliati di alcuni non si può delegittimare il lavoro corretto di altri”.
Bindi ha poi toccato il tasto dello scandalo Saguto, il magistrato ex presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo: “Le nuove norme sui beni sequestrati colmano delle carenze del sistema che sicuramente, come succede sempre quando la legislazione non è adeguata, aprono dei varchi nei quali si inseriscono comportamenti illeciti – ha spiegato -. Il caso Saguto è un caso classico ed emblematico, ci sono delle responsabilità penali in via di accertamento nei confronti del magistrato, ma tutto ciò è avvenuto per le carenze del sistema: mi riferisco alla mancanza di un tariffario che ancora non c’era, alle regole sulle incompatibilità degli amministratori giudiziari, al funzionamento delle sezioni specializzate che non può essere affidato alla buona volontà di qualche magistrato e a molte altre questioni che con la nuova legislazione e la riforma del codice antimafia affrontiamo”.