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Ap a un passo dalla scissione | Chi sta con chi in Sicilia

La riunione dei siciliani a Roma dopo l'annuncio choc di Alfano. Ecco cosa si sono detti.

Il retroscena
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PALERMO – E ora che ne sarà di Alternativa popolare, il partito con più poltrone che voti? I centristi di Angelino Alfano – quotati intorno al due per cento dai sondaggi – sono sotto choc dopo l’annuncio dell’eterno ministro di non ricandidarsi. E adesso, la già malconcia barca di Ap naviga senza guida in acque sempre più agitate.

Da settimane, gli alfaniani rinviano una decisione sulle future alleanze per le Politiche. La direzione è stata rinviata più volte e il partito è rimasto in mezzo al guado. Il redde rationem ci sarà lunedì e sarà davvero difficile evitare una scissione.

Alfano, annunciando il suo ritiro dalla scena, ha cercato di distendere gli animi in vista del complicato appuntamento. Ma incontrando i parlamentari nazionali eletti in Sicilia mercoledì sera, dopo aver lanciato la bomba a Porta a Porta, il ministro si è espresso in favore della linea “governativa”, cioè tirare dritto sull’alleanza con il Pd. “Si potrebbe arrivare anche a una lista unica”, ha detto ai suoi nel corso della lunga riunione serale nella sede di Ap in via del Governo vecchio a Roma.

Lo smarrimento tra gli alfaniani è comprensibile. Quelli che da un pezzo avevano scelto la strada del patto col Pd si stringono sempre di più a Renzi. Sono Beatrice Lorenzin e Fabrizio Cicchitto, pronti a confluire nella lista dei moderati alleata del Pd a cui lavora da qualche settimana Pierferdinando Casini. Sperando di raggranellare quel 3 per cento che serve a non restare fori dal Parlamento. Maurizio Lupi potrebbe portare il partito lombardo verso il centrodestra, magari unendosi alla “quarta gamba” centrista della coalizione che dovrebbe mettere insieme – ma le difficoltà non mancano – l’Udc di Cesa, Raffaele Fitto, Saverio Romano e altri moderati.

E i siciliani? La riunione di mercoledì, dopo l’annuncio choc di Angelino, è stata drammatica. Sulla linea di Lorenzin e Alfano, alleanza con il Pd, ci sono due big del partito come Giuseppe Castiglione e Dore Misuraca. “Noi possiamo vincere col centrosinistra. A Catania c’è un Pd forte, il collegio è alla portata della coalizione”, ragionava il primo. Mentre il secondo faceva notare come Renzi, abbassando il quorum per l’ingresso in Parlamento dal 5 al 3 abbia favorito i centristi. Di segno diverso l’intervento di Simona Vicari. L’ex sottosegretario già da qualche mese è critica sull’alleanza governativa con il Pd. “Il nostro elettorato non ci ha seguito”, ha detto ai compagni di partito Vicari, più orientata verso il centrodestra. Lo smottamento di voti verso l’area dell’Udc è stato evidenziato anche da altri presenti. Sembra guardare al centrodestra anche l’agrigentino Nino Bosco, mentre pare più possibilista su un patto col Pd il messinese Vincenzo Garofalo. Altri sono già andati via alla spicciolata, dagli ex deputati regionali passati col centrodestra in zona Cesarini (e non rieletti) ai parlamentari nazionali come Bruno Mancuso e Alessandro Pagano.

Non c’era alla riunione dell’altra sera Giovanni La Via, che al momento non si sbilancia: “Siamo tutti in attesa di capire cosa farà la direzione di Ap lunedì. Sarà il momento del confronto, vediamo se riusciamo a trovare una direzione unitaria. È chiaro che ci sono anime diverse. Io nel Parlamento europeo sto con i Popolari e continuerò a stare con i Popolari europei. Abbiamo qualche giorno per riflettere”, dice l’eurodeputato catanese. “La situazione è grave a livello nazionale, gravissima a livello regionale”, sintetizza l’ex deputato regionale Vincenzo Vinciullo, che critica l’attendismo e la mancata convocazione della direzione regionale dopo il voto. “Credo che i tempi siano scaduti, andremo a Roma e ci conteremo”, dice Vinciullo, che guarda con favore al ritorno al centrodestra e definisce “una strada tortuosa su cui siamo andati a sbattere” l’alleanza col Pd. “Ci saremmo aspettati le dimissioni dei vertici regionali dopo il disastro di Palermo, Catania e Messina”, aggiunge Vinciullo.

L’impressione è che il progetto nato sulle solide basi delle poltrone nel novembre 2013 (allora si chiamava Nuovo centrodestra) sia arrivato alla soglia dell’implosione finale. Lunedì potrebbe non restare che raccogliere i cocci.


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