PALERMO – Dietro ogni numero c’è sempre un significato. E così, in tanti già sussurrano che dietro lo slittamento della prima seduta dell’Ars dall’11 al 15 dicembre, c’è una necessità politica. Il 15 sarà un venerdì, e così, nell’eventualità che nelle prime votazioni qualcosa possa andare storto e di fronte alla necessità di aggiornare la seduta a lunedì, il week end potrebbe tornare buono per stringere i bulloni degli accordi.
Di sicuro c’è che il primo giorno del nuovo parlamento imprimerà già una svolta alla legislatura appena iniziata. È la battaglia di Sala d’Ercole, figlia di quella per la formazione della giunta, ma che sulla stessa giunta, a sua volta, potrebbe provocare un contraccolpo. E già alcuni conti sembrano non tornare. A cominciare dal “pieno” fatto da una lista della coalizione: quei Popolari e autonomisti che, grazie alla concessione di Forza Italia hanno conquistato un assessore in più rispetto a quelli previsti: ben tre (Lagalla, Cordaro e Ippolito) e che puntano anche però a una carica di prestigio a Sala d’Ercole. Provocando diversi malumori tra gli alleati.
Eppure un accordo ci sarebbe. O dovrebbe esserci, nei prossimi giorni, quando si incontreranno i rappresentanti delle forze di maggioranza all’Ars. Ma il condizionale è quantomai necessario, di fronte a una elezione che sarà il frutto di una votazione segreta. Gianfranco Micciché punta alla presidenza. Ma gli servono molti voti. Quanti? Lo spiega il regolamento stesso dell’Ars.
Come si elegge il presidente
“È eletto, a primo scrutinio – si legge nel regolamento – chi raggiunge la maggioranza dei due terzi dei componenti dell’Assemblea. Qualora nessun deputato ottenga tale maggioranza, si procede ad una seconda votazione nella quale è sufficiente, per l’elezione, la metà più uno dei voti dei componenti dell’Assemblea”. Tradotto: a Micciché serviranno inizialmente 47 voti. Un risultato quasi impossibile da raggiungere, per diversi motivi. La maggioranza oggi può contare su 36 deputati. Ma i franchi tiratori sono dietro l’angolo. Del resto, i rapporti recenti tra il commissario di Forza Italia e, ad esempio, parlamentari di maggioranza come Vincenzo Figuccia o Giorgio Assenza non sono stati affatto buoni, mentre le lamentele della Lega sulla mancata presenza in giunta potrebbero aver allontanato il voto di Tony Rizzotto.
C’è, sullo sfondo però, il possibile accordo col Pd che, stando a quanto trapela, sarebbe stato raggiunto con cinque deputati Dem, in cambio dell’appoggio di Forza Italia a Giuseppe Lupo come vicepresidente. Ma quasi certamente questo non basterà a Micciché per essere eletto al primo scrutinio. Si passerà quindi probabilmente al secondo, quando basteranno 36 voti. Un obiettivo più alla portata, specie se reggerà il “patto” col Pd. Se non andrà a buon fine nemmeno la seconda votazione, regolamento alla mano, tutto verrà rimandato alla giornata successiva di quel venerdì 15 quando sarà eletto presidente chi avrà ottenuto un voto in più rispetto agli altri. Ma per”giorno dopo” c’è già qualcuno che intende “lunedì”. I due giorni nel mezzo, in quel caso, porteranno consiglio.
I vicepresidenti
Ma come detto, il voto segreto non dà alcuna certezza. E così, anche i due nomi più caldi per ricoprire l’incarico di vicepresidente non possono essere considerati certi, per più di un motivo. Quello generale è il seguente: a quella poltrona punta legittimamente anche il Movimento cinque stelle, prima forza di opposizione (la prassi prevede appunto che almeno una di quelle poltrone vada alla minoranza). I grillini quindi, per provare a eleggere Giancarlo Cancelleri, potrebbero far pesare almeno i propri 20 voti ai quali aggiungere, magari, quelli di franchi tiratori e scontenti. Insomma, per avere la certezza di eleggere il “proprio” vicepresidente, serviranno 25 voti. Esattamente quelli che sommerebbero Forza Italia e il Pd, in caso di accordo andato a buon fine. In quel caso il “prescelto” sarebbe Giuseppe Lupo. Ma come detto, l’accordo, se c’è, è con singoli deputati e non col partito e l’intero gruppo.
Il “peso” dei centristi
Del resto, qualche problema c’è anche per l’altro vicepresidente: quello che dovrebbe essere eletto dalla maggioranza. Il nome è quello dell’autonomista Roberto Di Mauro, dato per certo fino a due giorni fa. Nel frattempo, però, qualcosa è cambiato. La sua lista, quella dei Popolari e autonomisti, ha espresso in giunta non più due, ma tre assessori, con l’arrivo in extremis di Mariella Ippolito, voluta fortemente da Raffaele Lombardo. E così, adesso, la poltrona di Di Mauro traballa. E anche in questo caso, parlano i numeri. Quella lista, infatti, ha fatto eleggere sei deputati ottenendo più o meno lo stesso consenso dell’Udc (che in giunta ha indicato due assessori, avendo fatto eleggere 5 deputati) e non molto di più di #DiventeràBellissima che di assessori ne ha avuto solo uno nonostante i 5 deputati eletti anche in questo caso, e sebbene la delega alla Sanità, finita nelle mani di Ruggero Razza sia di primaria importanza. In questo caso il regolamento prevede per ogni singolo deputato la possibilità di indicare due nomi. E gli incroci possibili sono tanti. Anche perché gli altri partiti di centrodestra non sembrano così convinti di lasciare agli uomini di Romano e Lombardo anche la vicepresidenza.
Le altre cariche
Una partita che ovviamente riguarderà anche le altre cariche dell’Ars. A cominciare da quella dei tre questori, dove i nomi indicati sono quelli di Giusy Savarino e Giorgio Assenza per il movimento del governatore (nel caso in cui non dovesse arrivare la vicepresidenza) e di Alfio Papale per Forza Italia. Il terzo questore sarà indicato dal partito di opposizione (Pd o M5S) che non avrà conquistato la vicepresidenza. E poi, ecco anche la corsa per i segretari, presidenti di commissione e capigruppo. In quest’ultimo caso, qualche certezze c’è già: Giuseppe Milazzo guiderà Forza Italia all’Ars e Alessandro Aricò sarà il capogruppo di #DiventeràBellissima. Probabile invece la scelta di Pippo Compagnone per i Popolari e autonomisti, mentre per l’Udc si fa il nome di Margherita La Rocca Ruvolo.
Quanto valgono le poltrone
Tutte le cariche ovviamente non hanno solo una valenza legata al prestigio. Quelle poltrone, infatti, “valgono” un bonus economico che va ad aggiungersi ai 11.100 euro (in parte lordi, in parte netti) dell’indennità base del deputato. Al presidente dell’Ars, infatti, spetta una indennità aggiuntiva netta di 2.700 euro al mese, ai due vicepresidenti vanno 1.800 euro, ai deputati questori 1.622,45, ai deputati segretari, ai presidenti di commissione e ai capigruppo vanno 1.159,14 euro lordi. Perché spesso, molto spesso, il significato di tante battaglie è anche nei numeri.