PALERMO – Le pene diventano definitive. A cominciare da quella inflitta al boss di Bagheria Carmelo Bartolone, 14 anni (due in meno della sentenza di appello. Per il resto la Cassazione conferma le condanne rigettando i ricorsi di Luigi Di Salvo (8 anni), Alessandro Vega (3 anni e sei mesi). Definitiva anche la pena più alta, 18 anni, inflitta a Pietro Giuseppe Flamia, detto il porco.
Bartolone era un morto che camminava. Lo sapevano tutti a Bagheria. E così alcuni anni fa si presentò al pronto soccorso, dicendo di sentirsi male. L’arresto gli ha salvato la vita.
Pizzo, investimenti nei locali notturni, traffici di droga e campagne elettorali. C’era tutto questo nell’inchiesta della Dda e dei carabinieri del Comando provinciale dei carabinieri di Palermo e del Ros.
La Suprema Corte ha confermato il risarcimento danni alle parti civili: Comuni di Alimena, Bagheria, Villabate, Altavilla Milicia, Casteldaccia e Ficarazzi. Ed ancora per il Centro Pio La Torre, Confindustria Palermo, Addiopizzo e Fai.
Leggi “Gli affari e la paura d’essere ucciso: storia di Bartolone, un boss in fuga”
La sera del 10 settembre del 2015 Bartolone arrivò all’ospedale Civico di Palermo. La lombosciatalgia di cui disse di soffrire era un pretesto per chiudere la sua breve latitanza, iniziata pochi mesi prima quando i carabinieri scoprirono che si era allontanato da casa. Bartolone era sottoposto alla sorveglianza speciale dopo avere finito di scontare sette anni e mezzo di carcere per mafia. Era uno dei fiancheggiatori di Bernardo Provenzano, condannato al processo “Grande mandamento”. Bartolone si era dato alla macchia per evitare i proiettili. Forse per via di alcuni investimenti sbagliati fatti con i soldi del clan.