PALERMO – “Ho perso 300 mila euro per colpa di Banca Nuova”. L’imprenditore è di quelli importanti. La sua azienda è siciliana, ma esporta ed è conosciuta in tutta Italia. I suoi prodotti girano tra gli spot nazionali. Un mezzo miracolo siciliano. “Ma sono stato ingannato”, insiste. Non vuole che il suo nome venga reso pubblico. Perché oltre alla “beffa” c’è anche un po’ di imbarazzo, misto a rabbia. “Mi sono fidato – racconta – di chi negli anni si era accreditato come una persona affidabile. E ho perso oltre 300 mila euro”.
Ma adesso promette battaglia. E ha già dato incarico agli avvocati Gaetano Armao e Pierluigi Matta di far causa alla banca in tutte le sedi. Sia in quella civile, sia di fronte alla Banca d’Italia verso la quale inoltrerà un esposto. La storia dell’imprenditore siciliano è una delle storie di investitori o semplici risparmiatori che si sono fidati della Banca. Un effetto diretto della valanga che ha avuto origine a Vicenza, sede della Popolare che è proprietaria di tutte le quote di Banca Nuova, radicata invece in Sicilia (soprattutto) e Calabria.
Anche all’imprenditore, infatti, è stato chiesto di acquistare delle azioni. Tante. Circa cinquemila, al prezzo di 61,50 euro. Prezzo complessivo superiore ai 300 mila euro. Era quella la condizione proposta dalla banca, raccontano gli avvocati Armao e Matta, affinché l’imprenditore potesse accedere a un “fido” da un milione di euro. Il meccanismo, insomma, è lo stesso raccontato da decine di commercianti e piccoli risparmiatori in tante denunce già depositate all’associazione dei consumatori Adusbef: “in cambio” di un finanziamento, di un prestito, di un mutuo (oggi è assai difficile il ricorso al credito), la Banca chiedeva l’acquisto di un pacchetto di azioni. Con rassicurazioni che – stando al racconto degli azionisti – sembravano escludere qualsiasi brutta sorpresa.
E invece è successo ciò che oggi è su tutti i giornali. Il valore delle azioni, infatti, era sostanzialmente gonfiato. In pochi mesi, queste sono passate dal valore di 61,5 euro a… dieci centesimi. “Il nostro cliente – precisano Armao e Matta – nel 2010 ha speso una quota ingente e alla fine gli è rimasta in tasca una cifra buona per un weekend fuori porta”. Da 300 mila a circa 500 euro appena. E la rabbia dell’imprenditore, raccontano i suoi legali, sta nel fatto che “non si è trattato di un investimento, per il quale tu metti in conto un rischio. Questa è un’altra storia, nella quale la Banca ha correlato l’erogazione di un fido che in quel momento era fondamentale per l’azienda, a quell’acquisto”.
Ma la rabbia dell’imprenditore siciliano è accresciuta anche da un fatto che i legali raccontano, carte alla mano. Alla fine del 2015, di fronte alle voci che ormai giungevano da Vicenza, l’imprenditore aveva chiesto di poter vendere le proprie azioni, che erano già scese a circa 48 euro. Avrebbe, già allora, perso quasi 70 mila euro. Ma aveva intuito che il peggio doveva ancora arrivare.
A quella richiesta di cessione delle quote, la banca ha risposto con una lettera, per informare l’imprenditore che la domanda non era stata “oggetto di perfezionamento”. E poi, ecco l’elencazione di una serie di motivi e norme per le quali non era più così semplice vendere quelle azioni. Ma nella lettera della Popolare di Vicenza, ecco anche il lieto fine, che sarebbe coinciso con la quotazione in borsa dell’Istituto: “La quotazione – spiegavano infatti il consigliere delegato e il direttore generale della Popolare – che contiamo di realizzare entro la primavera del 2016, agevolerà la liquidità e dunque anche la vendibilità delle azioni a beneficio di tutti gli azionisti che intendano liquidare l’investimento”. Un po’ di pazienza, quindi, chiedeva la banca agli azionisti. Qualche mese di attesa e poi avrebbero potuto vendere le proprie azioni. Ma proprio in quei mesi le azioni sarebbero crollate. A dieci centesimi. Sgonfiando risparmi e investimenti. Facendoli svanire nel nulla. Come i 300 mila euro dell’imprenditore siciliano che ha “sfondato” in tutta Italia. E che a stento frena la rabbia: “Mi hanno ingannato”.