Il Meli, Biagio e Giuditta: "Mio padre distrutto dal dolore"

Il Meli, Biagio e Giuditta: “Mio padre distrutto dal dolore”

L'anniversario e la testimonianza di un dolore di cui si parla poco.
FIAMMETTA BORSELLINO
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Era il 25 novembre 1985 quando i padri e le madri impazzirono e si lanciarono verso piazza Croci, a Palermo, per avere notizie dei figli. C’era stato un passaparola, un sussurro che era diventato paura. Poi, il telegiornale aveva confermato tutto: “Strage al liceo ‘Meli’. Una macchina di scorta ai giudici è piombata sulla fermata, lì dove i ragazzi prendono l’autobus”. Travolto dall’impatto, Biagio Siciliano, timido quattordicenne della IV D morì subito. Maria Giuditta Milella, diciassettenne della III B chiuse gli occhi dopo qualche giorno. Nicola e Stella Siciliano persero il loro Biagio. Carlo e Francesca Milella piansero ‘Titta’. Ma c’era un altro padre con il cuore in frantumi: il giudice Paolo Borsellino. Così racconta sua figlia Fiammetta che oggi sarà al liceo ‘Meli’ per rivivere la storia di una tragedia.

“Papà soffrì moltissimo e non smise mai di soffrirne – dice Fiammetta -. Il dolore per quei due ragazzi e per le loro famiglie se lo portò dietro per sempre. Lui aveva messo in conto il suo sacrificio. Ma Biagio e Giuditta perché? Era fatto così, papà. Sapeva cosa rischiava, ma il pensiero che altri potessero subire conseguenze atroci di quel clima di guerra lo turbava moltissimo, non ci dormiva la notte. Era una persona che non perdeva mai il suo tratto umano”. Sì. c’era la guerra, a Palermo

“Biagio e Giuditta – scrive la preside Cinzia Citarrella, nella riflessione della giornata – sono stati anche loro vittime del sistema mafioso che ha costretto e continua a costringere uomini dediti alla legge a vivere sotto scorta insieme alle loro famiglie, rischiando ogni giorno la vita propria, dei familiari, degli uomini che li proteggono e in alcuni tragici casi, come quello di Biagio e Giuditta, di ignari passanti”.

Erano due ragazzi che andavano a scuola. Biagio aveva un gatto, Raimondo. Il primo giorno, sbagliando, era finito nella nostra classe, la IV E. Suo padre gridò a lungo nella camera mortuaria, chiedendo a Dio di riavere indietro il figlio. Titta era innamorata di Giancarlo Antognoni, calciatore della Fiorentina e della Nazionale. Aveva una stanza accogliente che è rimasta tale e quale, curata da sua mamma Francesca. Come se colei che la abitava potesse tornare, da un momento all’altro, in quella casa piena di sole, con i i gerani alla finestra.


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