Bruciati vivi o uccisi dal freddo | Non c'è Pasqua per gli invisibili - Live Sicilia

Bruciati vivi o uccisi dal freddo | Non c’è Pasqua per gli invisibili

Fia, il clochard gentile

Una Via Crucis infinita. Che non prevede resurrezione. Le storie.

PALERMO- Marcello Cimino non lo conosceva nessuno. Abbiamo imparato il suo nome, quando è morto bruciato e assassinato, altrimenti nulla avemmo mai saputo di lui, della sua famiglia, della sua vita, dispersa tra le sere di via Cipressi, sul sagrato di una mensa per i poveri. Giovanni Porretto dormiva, a piazza Lolli, sulla tappezzeria di una macchina abbandonata. Lì ha soffiato l’ultimo respiro, circondato dalla noncuranza.

C’è un venerdì santo che non si trasforma mai in resurrezione. La morte non è nemmeno il definitivo oltraggio. La durezza del sepolcro risiede nell’assenza della memoria che segue l’indifferenza. Ignoti prima, finché c’erano. Dimenticati dopo, quando la commozione si riduce in cenere con lo spegnersi del fuoco di una labile pietà. La Pasqua delle tavole imbandite, delle polemiche social tra i sostenitori del capretto con patate e i garanti dell’agnellino sulla spalla del protettore di turno, non contempla la Via Crucis Palermitana degli invisibili, il martirio degli impalpabili.

Vasto è il catalogo dei sofferenti. Chi ricorda Vincenzo, il barbone che dormiva alle Poste centrali? Si avvistava spesso sulla gradinata, riconoscibile per i capelli sporchi e lunghi, raccolti a crocchia sulla nuca. Non si fidava di nessuno, ma poi cambiò il suo cuore, perché la gente cominciò a portargli acqua e cibo, perché era scoccata la scintilla del non abbandono. Era molto malato. Una notte cominciò a respirare a fatica, l’ambulanza chiamata da qualcuno si precipitò in via Roma. Vincenzo, che fuggiva, appena vedeva un camice bianco, si drizzò, fece qualche passo, appoggiò i suoi capelli alla lettiga sorretta dagli infermieri. E morì. 

Un altro ospite dell’addiaccio scrisse su un foglio: “Barbone-cartone, la speranza e la carità sono la tua coperta”. Si sentiva simile ai cartoni del suo giaciglio, calpestati dai piedi in transito. Anche lui spirò. Il suo nome è polvere di smemoratezza.

Nel luogo in cui trovarono il corpo di Fia, assiderato dal freddo inatteso a piazza Tredici vittime, un’anima gentile pose un fiore rosso. Era iraniano, aveva sessant’anni. Adorava i cani che lo accompagnavano in quantità. Una sera , si avvicinò a un pub del centro per ascoltare la musica che, forse, gli avrebbe regalato una breve gioia. Non indossava un vestito all’altezza. Lo cacciarono. Marco era cieco. Si rifugiava in via Notarbartolo. Accettava qualche spicciolo con un borbottio di ringraziamento che accompagnava il tintinnio di una moneta sul marciapiede.

Alla Stazione centrale, c’era un uomo senza gambe. Ogni sabato, un’amica, una vecchia compagna di scuola, gli portava in dono una minestra calda. La consumavano insieme. C’era una signora anziana che riposava nell’androne di un palazzo, al tribunale, perché i figli – così raccontava lei – le avevano tolto la casa. Un plaid sulle ginocchia, un berretto di lana, gli occhiali spessi, da talpa. Pregava.

Una donna, in via Maqueda, trascinava un sudicio bagaglio che era il suo unico tesoro. Aveva pure un copricapo fiammante. Tutti la chiamavano Cappuccetto Rosso. Questi i volti della sofferenza, tra oggi e ieri. Le cifre danno la gigantografia del dolore.

“Assistiamo circa diecimila fratelli – dice don Sergio Mattaliano, direttore della Caritas di Palermo -. Chi si rivolge a noi? Le famiglie con un solo stipendio, i papà separati, tanti sono in miseria. Palermo è una città che pratica la sensibilità, ma sono pochi quelli che possono fare qualcosa di veramente utile per gli altri. La mancanza di lavoro è il problema più urgente. Rendiamoci servi del prossimo – insiste don Sergio – è essenziale non rimanere inerti. Ora che è Pasqua, dovremmo pensarci davvero”.

Aldo Meililli è uno dei cavalieri laici della miseria spietata e della nobiltà solidale, presidente dell’associazione ‘Le Ali’ che solca i marciapiedi in cerca di esistenze randagie. “Distinguo tre fasce di bisognosi – spiega -. Ci sono i clochard che, spesso, hanno scelto quel tipo di vita. Ci sono i senza fissa dimora che hanno perso lavoro e famiglia. E ci sono le famiglie. Noi aiutiamo centotrenta persone al giorno. La maggior parte si concentra nel centro storico: la stazione, piazza Tredici vittime, piazzetta della Pace. Ma pensiamo anche a chi sta in periferia, abbiamo un numero per ricevere segnalazioni che ci aiutino a intervenire. Basta inviare un semplice sms al 3925958050”. Don Sergio e Aldo concordano: l’emergenza è pressante, lambisce antiche sicurezze ormai sgretolate. Nel destino di chiunque può esserci una caduta senza rete, una coperta sdrucita, un ricovero di fortuna.

Marcello, arso vivo. Giovanni, addormentato in macchina. Vincenzo e i suoi capelli, sui gradini delle Poste. Fia, a piazza Tredici vittime. Il popolo degli impalpabili e invisibili. Prima, ignoti; infine, dimenticati in coda a un venerdì santo di lacrime e mani che si battono il petto. Morti e sepolti in una fosse comune di indifferenza, mentre le tavole si riempiono di cibo e chiacchiere, dopo la messa di precetto e il coro degli alleluia. Ma per i corpi distesi agli angoli delle strade, non è prevista la resurrezione.


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