Buste paga "col trucco" ai lavoratori| I dipendenti: "Vogliamo giustizia" - Live Sicilia

Buste paga “col trucco” ai lavoratori| I dipendenti: “Vogliamo giustizia”

Dopo la denuncia partita da una dipendente, la Procura di Palermo chiede il processo per estorsione nei confronti dell'imprenditore Pietro Miceli. Secondo l'accusa avrebbe pagato i propri dipendenti con somme inferiori rispetto a quelle riportate in busta paga. Il 5 marzo l'udienza preliminare: "Era un ricatto morale e psicologico", dice l'impiegata che ha denunciato tutto.

Palermo, il processo chiesto per Miceli
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PALERMO – La busta paga era di mille e duecento euro, ma il reale compenso poteva essere anche della metà. E’ solo un esempio di quello che, secondo l’accusa, poteva accadere ai dipendenti dell’imprenditore Pietro Miceli, che in Sicilia ha aperto decine di negozi con marchi molto noti, a partire da alcuni in pieno centro a Palermo, per finire con attività sparse per tutta l’Isola, da Sciacca a Mazara del Vallo, da Caltagirone a Capo d’Orlando. Un impero da milioni di euro tra punti vendita Benetton, Sasch, Geox, Golden Point ed Oviesse, che ha permesso all’imprenditore di dar vita ad un giro d’affari sfociato anche nell’acquisto del palazzo di via Ruggero Settimo in cui si trovano la Mondadori ed il negozio d’abbigliamento “H&M”, di cui riscuote l’affitto.

Dopo la denuncia partita da una dipendente, la Procura di Palermo chiede il processo per estorsione nei confronti dell’imprenditore, dei suoi due figli Daniela e Fabio Massimo, del genero Fabio Salamone e del consulente del lavoro Marcello Venezia. L’udienza preliminare è stata fissata per il prossimo 5 marzo e, nel frattempo, sono stati novanta, tra commessi, gerenti e magazzinieri che arrivano da ogni parte della Sicilia, i dipendenti chiamati a testimoniare contro Miceli dal pubblico ministero Sergio Barbiera. Per l’accusa, alla base del modus operandi dell’imprenditore ci sarebbero state delle “indebite trattenute sullo stipendio mensile che spettava ai lavoratori”: in pratica, venivano fatte sottoscrivere agli impiegati “per saldo e quietanza”, pena il licenziamento, buste paga di importo superiore a quello corrisposto.

“Un ricatto morale e psicologico che si è ben presto trasformato in un problema sociale, visto che ha coinvolto decine di persone”, spiega Anna Russo, la dipendente che ha denunciato tutto. Sposata e madre di tre figli, è senza lavoro dal 7 novembre 2011. Dipendente della “Carisma srl”, una delle società di Miceli, racconta a LiveSicilia, insieme al suo avvocato Calogero Dimino, un periodo terribile e dice di volere giustizia. “Su circa mille e duecento euro – dice – in realtà ne venivano pagati seicento o ottocento. Ma non era l’unico aspetto che umiliava il nostro lavoro, basti pensare che io ero formalmente un contabile di quarto livello, ma di fatto svolgevo l’attività di responsabile amministrativo”.

I primi passi dell’inchiesta sono già stati mossi dal nucleo della polizia tributaria della guardia di finanza, che negli scorsi mesi ha passato al setaccio i negozi di Miceli e convocato in caserma diversi dipendenti che hanno fornito importanti dettagli sulle buste paga che sulla carta avrebbero mostrato almeno il doppio dell’importo materialmente ricevuto dagli impiegati. Racconti che secondo la Procura hanno delineano un quadro estorsivo a tutti i gli effetti, e ciò sarebbe accaduto nei diversi punti vendita di Palermo, Carini, Partinico, Alcamo, Mazara del Vallo, Sciacca, Licata, Messina, Capo d’Orlando, Gela e Caltagirone, dal 2004 al dicembre 2010.

“Sei anni indescrivibili – racconta Anna Russo – in cui non avevo orari ed ero sempre a disposizione, anche la vigilia di Natale, nonostante io sia una mamma e debba occuparmi dei miei bambini. Dovevo subire un meccanismo logorante, accettare una qualifica che non era la mia e vedere anche perdere i miei scatti d’anzianità. Quando mi hanno detto che sarei dovuta passare dal full al part time previa sottoscrizione delle dimissioni volontarie, non ci ho visto più. Era l’ennesima vessazione nei miei confronti e non potevo continuare ad abbassare la testa. Al mio “no” si è scatenato il putiferio. Adesso io e i miei colleghi chiediamo giustizia, vogliamo che episodi di sopraffazione simile non si ripetano”. Le aziende chiamate in causa dalla Procura sono più di venti, quasi tutte a responsabilità limitata, una in accomandita semplice: Carisma, Apollo, Gruppo 3, Gran Sasso, Giove, Immobiliare Oceano, Dolomiti, Venere, Sami, Asia, Mooving, Sada, Correre, Sorpasso, Australia, Isaia, Aquila immobiliare, Panarea, Nuovo universo, One, Commerciale immobiliare.

“I sindacati dovrebbero fare la loro parte – sottolinea Anna Russo – ci auguriamo che si costituiscano parte civile, perché i lavoratori non possono essere lasciati da soli in questa battaglia. Stiamo parlando di milioni di euro che sono stati sottratti a tutti noi, sotto minaccia. Un ricatto di fronte al quale madri e padri di famiglia con mutui ancora da pagare e spese quotidiane da sostenere, non hanno avuto per anni alcuna alternativa. Gli stessi che per questo lungo periodo si sono trovati a riscuotere anche una tredicesima più che dimezzata, senza tra l’altro poter mai sperare nella quattordicesima. Non si possono maltrattare le persone in questo modo”.


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