Caccia al tesoro di Ciancimino| Cinquecento milioni e mille misteri - Live Sicilia

Caccia al tesoro di Ciancimino| Cinquecento milioni e mille misteri

Vito Ciancimino

L'ultimo è legato al sequestro agli eredi Brancato. Sono stati loro a fare causa a Gianni Lapis.

PALERMO – È una storia investigativa infinita quella legata al tesoro di don Vito Ciancimino. L’ultimo passaggio è di pochi giorni fa. Agli eredi di Ezio Brancato, socio di don Vito negli affari del Gas, sono stati prima bloccati dal Gip e poi dissequestrati dal Riesame un milione e 400 mila euro in soldi e gioielli. I beni, però, restano fermi nel principato di Andorra dove è in corso un’altra indagine.

Contestualmente un provvedimento della sezione Misure di prevenzione ha colpito disponibilità finanziarie, immobili e terreni a Palermo, Balestrate e Partinico per un valore di quattro milioni e 700 mila euro. Si scopre adesso che il secondo provvedimento nasce da una causa vinta dagli eredi Brancato, intentata in sede civile contro Gianni Lapis.

Nelle vecchie indagini sul tesoro di Ciancimino era venuto a galla un passaggio di denaro dal conto di Ezio Brancato a quello della figlia di Lapis. E da qui in quello svizzero denominato “Mignon” nella disponibilità di Massimo Ciancimino, il figlio di don Vito. Secondo Lapis si trattava di un debito pagato da Brancato e il tributarista si sarebbe limitato a fare da intermediario. Di avviso opposto gli eredi Brancato, la moglie Maria D’Anna e le figlie Monia e Antonella, che hanno vinto in primo grado la causa contro Lapis per riavere il denaro.

Solo che i soldi sono parte di tesoro fin qui finito sotto sequestro. E così l’amministratore giudiziario ha trasmesso la sentenza civile alla sezione per le Misure di prevenzione che ha deciso di bloccare le somme in attesa di decidere se confiscare o restituire i beni. Si attende l’esito di alcune lunghe e complicate perizie.

Il grosso degli affari girava attorno alla Gasdotti Azienda Siciliana che fu venduta il 13 gennaio del 2004 al gruppo spagnolo Gas Natural per 114 milioni di euro. Il ricavato era stato reinvestito nell’acquisto di altre società. Per prima Agenda 21 Sa con sede a Bucarest, che si occupava di smaltimento di rifiuti solidi urbani e che gestiva in Romania la più grande discarica d’Europa. E poi c’erano altre società, tra cui una di transazioni finanziarie in Lussemburgo. Il tutto per circa 60 milioni di euro.

Poca roba rispetto a un patrimonio complessivo che gli inquirenti stimano in 400-500 milioni di euro. Neppure il figlio di don Vito, Massimo, ha saputo ricostruire la rete di interessi. Basta citare un esempio: un paio di anni fa Ciancimino jr mise sul piatto dei magistrati di Palermo un tesoretto di 12 milioni di dollari custodito in Malesia “per interrompere tutte le speculazioni fatte per delegittimarmi. Chi dice che ho collaborato con la Procura di Palermo solo per salvare il mio patrimonio adesso ha la dimostrazione che non è vero”. Il dubbio è rimasto, visto che i finanzieri hanno trovato solo un paio di migliaia di ringitt che, al cambio, valgono poche centinaia di euro. Eppure risulterebbero movimenti di denaro riconducibili alla madre di Vito Ciancimino, Epifania Scardino. Ad operare sul conto della banca di Kuala Lumpur erano due intermediari cinesi.

I finanzieri del Gico della Polizia tributaria stanno cercando di ricostruire i passaggi di denaro, su quel conto e su altri. Il procuratore Francesco Lo Voi e i sostituti Siro De Flammineis e Gaspare Spedale si muovono sulla scia delle indagini patrimoniali avviate dall’allora procuratore aggiunto di Palermo Giuseppe Pignatone, oggi a capo della procura d Roma. La caccia li ha portati, oltre che ad Andorra, anche a New York, Montreal e Panama.


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