PALERMO – Stefano Delle Chiaie è un fantasma. Aleggia sulla strage di Capaci, presente nei ricordi di un carabiniere in pensione e dell’ex compagna di un collaboratore di giustizia, ma grande assente nei verbali dello stesso pentito.
La presenza di Stefano Delle Chiaie, il fondatore di Avanguardia Nazionale, a Capaci e i suoi contatti con esponenti mafiosi sono stati al centro di un’inchiesta di Report, che stasera tornerà ad occuparsi della vicenda.
A parlare di Delle Chiaie alla trasmissione televisiva sono stati il brigadiere dei carabinieri Walter Giustini e Maria Romeo, ex compagna di Lo Cicero. Nel racconto della donna a Report emerge una sua testimonianza all’allora ufficiale dei carabinieri Gianfranco Cavallo. Nella informativa scaturita da quell’incontro si attesterebbe il coinvolgimento di Delle Chiaie nella strage.
Nessuno può dubitare della serietà del lavoro di Report. Ci sono, però, delle domande che meritano risposte specie quando si parla degli uomini e delle donne uccisi nell’eccidio che ha sconquassato la democrazia in Italia. Le stragi del ’93 furono un attacco allo Stato.
Il fantasma di Delle Chiaie spunta 30 anni dopo. Il punto è che, secondo Giustini e Romeo, di lui si era parlato sin dall’inizio. Nei verbali di Lo Cicero, però, non c’è traccia. Non emerge neanche il contesto di una eventuale pista nera. Eppure il racconto del collaboratore, sentito più volte, era stato ricco di particolari. Mai si fa riferimento alla presenza di Delle Chiaie sul luogo della strage.
L’ex procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato (che sulla pista nera ha indagato chiedendo infine l’archiviazione), nei giorni scorsi ha dichiarato a Rai News che “è stato acquisito un documento ufficiale redatto dal 1992 nel quale si comunicava a più autorità che Stefano delle Chiaie nella primavera del ’92 si è incontrato con boss mafiosi e che era coinvolto nella strage di Capaci. E’ un documento del 1992, è stato riscoperto solo recentemente”.
Il 25 agosto 1993 al pubblico ministero Vittorio Aliquò Lo Cicero disse che “poco prima dell’eccidio io avevo notato che c’era nell’aria qualcosa di strano”. E da cosa emergeva? “Avevo cercato di incontrare Sergio Sacco e invece costui era assolutamente irreperibile”. Potrebbe trattarsi del Sacco (cognato dell’ex procuratore di Palermo Francesco Messineo), condannato per associazione a delinquere finalizzata alla ricettazione. Nel processo cadde l’aggravante mafiosa contestata perché si era ipotizzato che a rubare i mezzi era stata un’organizzazione criminale legata alla cosca dei boss Vitale di Partinico.
Lo Cicero aggiungeva anche che si era stranito per la presenza, in un deposito di mezzi edili a Capaci, “dell’imprenditore Giovanni Prestigiacomo” che in quegli anni veniva considerato un prestanome di Mariano Tulio Troia. “Prestigiacomo difficilmente si recava a Capaci”, aggiungeva Lo Cicero. “Sicché mi sono allarmato pensando che volessero organizzare qualcosa per uccidere me, mai avrei pensato ciò che è poi avvenuto”. Sia Prestigiacomo che Sacco sono totalmente estranei ai fatti di Capaci così come ricostruiti nelle indagini e nei processi.
Non è tutto perché Lo Cicero aggiunse che un giorno, mentre accompagnava un parente a casa di amici, “nella stradella che poi porta al luogo dell’attentato trovammo dei cavalletti posti di traverso con la scritta ‘lavori in corso’. Non c’erano scavi ma alcuni mucchi di terra che impedivano il passaggio. Tornammo indietro… non notai niente ad eccezione di un motociclista con un vespino rosso che sbucò alle mie spalle e che con il suo mezzo poté passare al di là dell’interruzione. Era vestito come un contadino e non mi diede motivo di sospetto” . Non notò “niente”. In quel niente includeva anche il fantasma di Delle Chiaie che invece compare oggi?
Il 22 gennaio successivo, siamo già nel 1993, Lo Cicero era stato interrogato di nuovo dal pm Vittorio Teresi. Nel verbale parlava di Salvatore Biondino, l’autista di Totò Riina. Ed ecco un altro punto controverso. L’ex carabiniere Giustini, intervistato da Report, conferma: “Lo Cicero ci disse che come autista di Troia partecipava ad alcuni incontri e notava che Riina veniva accompagnato da Salvatore Biondino”. Quando? “Prima delle stragi”.
Eppure nel verbale del ’93 Lo Cicero aveva detto che Biondino era sì autista di un mafioso, ma solo dopo l’arresto di Riina “vedendo la sua immagine sui giornali e in televisione mi sono ricordato che quella persona l’ho vista qualche volte nella villa di Troia”. Quindi nel 1993, dopo la strage, Lo Cicero metteva a verbale che prima delle stragi non aveva idea che Biondino fosse l’autista del capo dei capi.
Di Delle Chiaie non si parlò neppure in un interrogatorio del febbraio 1993. I pubblici ministeri che sentirono Lo Cicero erano stati Aliquò, scomparso l’anno scorso, e Teresi. Si può anche ipotizzare che nulla sapessero delle confidenze fatte da Lo Cicero a Giustini. Una certezza c’è: in due dei tre interrogatori era sempre presente una terza persona, ed è proprio il carabiniere Walter Giustini.
È lecito porsi alcune domande: perché Lo Cicero non ha messo a verbale (è la stessa Procura di Caltanissetta che indaga sulla strage a dire che le dichiarazioni di Romeo e dell’ex carabiniere “sono totalmente smentite dagli atti acquisiti”) le confidenze fatte a Giustini? Cosa fece Giustini nel momento in cui si accorse – non può non essersene accorto – che sulla presenza di Delle Chiaie e sul ruolo di Biondino Lo Cicero ai pm non stava ripetendo le cose raccontategli in via confidenziale? Perché decide di affidare solo oggi i suoi ricordi ad una telecamera?
Sigfrido Ranucci intanto rilancia: “Nella puntata di oggi parleremo anche delle registrazioni audio del collaboratore Lo Cicero che sono state consegnate agli investigatori. Che fine hanno fatto?”. Domande su domande.