Caro Pd, ora hai 'rotto' davvero | Ma non esiste solo il partito - Live Sicilia

Caro Pd, ora hai ‘rotto’ davvero | Ma non esiste solo il partito

Ha governato per 8 degli ultimi 11 anni. Molti li ha spesi a litigare. Così è finito ai margini, proprio quando poteva essere centrale.

Adesso che ha rotto, e si è rotto davvero, forse è il momento di ricostruire qualcosa. Qualcosa che non sia una semplice ricollocazione, un nuovo equilibrio precario, una quiete in attesa della prossima tempesta, della prossima faida interna. Perché il Pd, ormai, è ridotto a questo. A un almanacco di liti, un contenitore di odi e accuse incrociate. Anzi, intrecciate. Perché gli accusati e gli accusatori, spesso, finiscono per trovarsi pure insieme, dopo un po’, nell’eterna danza delle correnti.

Ma adesso, il Pd ha davvero rotto. E’ saltato in aria il menage di un partito in cui “almeno si parla”, come ha più volte rivendicato il Dem di turno, in questi anni. Peccato che, però, il Pd abbia finito per parlare soltanto. Quando c’è stato da fare, ha fatto ciò che di meglio sa fare: litigare da capo.

Che occasione persa, che spreco, per quell’area politica. Il Pd esplode, col caso Faraone come ultima puntata di una datata soap opera, proprio quando avrebbe potuto recitare un ruolo centrale, anzi, si direbbe, fondamentale. In un momento storico, cioè, nel quale il governo romano ha svoltato a destra trascinando con sé i grillini, e il governo regionale è guidato dal presidente della Regione più di destra degli ultimi decenni, ecco che il Pd esplode. Evapora. Rimane seppellito dai regolamenti e dalle commissioni, dagli statuti e dalle regole di partito ostiche persino a noi che saremmo pure “addetti ai lavori”, figuriamoci alla gente comune.

Già, la gente comune. Si perdoni la banalità, ma il Pd è sparito proprio da quelle parti. A forza di guardarsi l’ombelico, credendosi così centro del mondo politico, ha finito per spostarsi, giorno dopo giorno, sempre più verso la periferia. Cioè la marginalità politica. Lì dove non si fa e non si conclude, non si cambia e non si migliora un bel niente.

Si è preferito concentrare forze e uomini sulle alchimie, sugli impiastri politici. E come nel laboratorio di qualche mago goffo, è sempre esploso tutto. Basta una carrellata veloce e certamente non esaustiva degli ultimi dieci anni. Le liti in direzione regionale e poi col partito nazionale sul dilemma: fare o non fare il governo politico con l’indagato per mafia Raffaele Lombardo? C’erano, nove, dieci anni fa, blocchi e schieramenti, difensori di questa idea (Lumia e Cracolici per primi), e contrari (persino l’allora presidente del partito Rosi Bindi, così come il segretario siciliano di quei giorni Lupo). Venne poi il sostegno al candidato Rosario Crocetta, sul quale si litigò così tanto che alla fine dovette lanciarlo… l’Udc di Gianpiero D’Alia. Da lì, le contraddizioni emersero con meravigliosa singolarità: un pezzo del Pd sosteneva Crocetta, un pezzo del Pd non lo voleva vedere manco in fotografia e un pezzo del Pd, addirittura (proprio quello che faceva capo a Davide Faraone), mentre lo attaccava, gli riempiva la giunta di assessori. Vai a capirci qualcosa. In quegli anni, il Pd si incartò persino sulla questione morale, col governatore antimafia Crocetta che lanciava alle Europee il senatore antimafia Beppe Lumia e allo stesso tempo si scagliava contro la figlia di Rocco Chinnici e contro uno dei più stimati docenti di diritto penale in Italia, come Giovanni Fiandaca. Pochi mesi e lo stesso Crocetta, che aveva definito Fiandaca un “negazionista” rispetto al tema di Cosa Nostra, chiamava il professore come Garante dei detenuti. Nel Pd, del resto, è sempre stato tutto possibile. Tra una lite e l’altra, ovviamente. Andando indietro nel tempo si trovano quelle sulle primarie per il sindaco di Palermo e le accuse di Rita Borsellino a Fabrizio Ferrandelli che portarono al ritorno di Orlando, e correndo verso i nostri giorni, quelle più recenti con i renziani anti-Orlando convinti che Orlando, proprio Orlando, fosse l’unico candidato possibile, anche al costo di togliere il simbolo dalla scheda e riempirla di alfaniani.

Una sintesi, questa. Ma che un po’ renderà l’idea. E che certifica il fallimento del Pd di questi anni, così come della sua litigiosa classe dirigente. Perché tra una faida e l’altra, il Partito democratico ha governato per la bellezza di otto degli ultimi undici anni in Sicilia. Una regione nella quale tutti gli indicatori, da quelli sul Pil all’occupazione giovanile, hanno subito un crollo, più grave che altrove. Il Pd, nel frattempo, era infatti impegnato a ricucire, a ristrappare, a rilanciare e a ripartire. Perdendo voti, un anno dopo l’altro. E una centralità che oggi sarebbe quasi naturale. Quella di un partito che dovrebbe fare opposizione a una destra che governa ovunque anche grazie al Pd. Un partito che potrebbe, anzi dovrebbe, tornando sulle strade, rilanciare la questione degli “ultimi”. Dimenticati, tra una direzione e un congresso, tra commissioni di garanzia e primarie, ovviamente e ogni volta da rifare.


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