PALERMO – I loro incassi continuano ad andare a picco, la zona rossa in vigore nell’Isola non li convince e i ristori non esistono: gli imprenditori della moda siciliani stanno esaurendo le carte da giocare per resistere alla crisi da Covid. Il grido d’allarme arriva dalla Fimo Assoimpresa regionale, che conta un giro di oltre duecento associati appartenenti dagli ambiti dell’abbigliamento, delle calzature, dell’ottica e degli accessori. Il presidente dell’associazione Marco Di Giovanni, titolare di tre negozi di abbigliamento a Palermo, parla di categorie “completamente dimenticate nonostante coprano grandissima parte del tessuto socioeconomico della Sicilia e di tutta l’Italia”.
“Non sono perdite anche le nostre?”
Il simbolo di questa crisi sono le giacenze di magazzino invendute, che i commercianti hanno pagato a peso d’oro ma che probabilmente mai troveranno posto nelle case dei clienti. “Parliamo di merce comprata un anno fa – dice il presidente di Fimo Assoimpresa –, come sempre frutto di una programmazione che nel nostro lavoro è necessaria. E dato che i titolari di attività di altri generi vengono ristorati per le varie perdite subite, mi chiedo: non sono perdite anche le migliaia di euro che avevamo speso per questa merce ormai vecchia? Perché non riceviamo aiuto anche noi?”.
La zona rossa contestata
Le difficoltà organizzative hanno trovato una ‘spalla’ perfetta nel tragico andamento della pandemia. Così le restrizioni imposte dal governo Conte hanno peggiorato le condizioni descritte dall’associazione di categoria: “La stagione invernale 2020 era stata compromessa, con un crollo delle vendite già da metà febbraio e un’importante perdita di incassi negli ultimi giorni di saldi – fa presente Marco Di Giovanni –. La storia si è praticamente ripetuta sia con la stagione estiva, sia con la stagione invernale 2021, prima con le chiusure durante le vacanze di Natale che hanno falsato il mese di dicembre, e ora con questa ‘zona rossa’ che proprio non riusciamo a definire così.
“Il perché – prosegue – lo possono notare tutti: a dover stare chiusi siamo solo noi dell’abbigliamento e delle calzature. Articoli sportivi, intimo, giocattoli… Praticamente sono tutti aperti tranne noi. E in più alcune di queste attività vendono anche il nostro abbigliamento e le nostre calzature. Capisco che le persone non sono invogliate a comprare, ma questo non c’entra. Il Covid non è colpa nostra”.
Il nodo ristori: “Noi dimenticati”
“Lasciateci aperti o se dobbiamo stare chiusi ristorateci”, chiedono al governo gli imprenditori siciliani del mondo della moda. Proprio i ristori sono un tasto dolente della crisi rappresentata da Di Giovanni, che racconta la propria esperienza di negoziante di abbigliamento: “Quando dico che siamo dimenticati è perché l’unico sostegno mai toccato al nostro settore è stato quello del Decreto rilancio. A giugno abbiamo ricevuto non oltre il 20 per cento della differenza fra il fatturato di aprile 2019 e quello di aprile 2020. Nel mio caso sono arrivati rispettivamente 4.000 e 4.500 euro, destinati alle mie due partite Iva. ‘Bene’, si potrebbe dire, se non fosse che le mie perdite ammontano a 175 mila euro di mancati incassi in 69 giorni di chiusura. E anzi la mia situazione rispetto a quelle di tanti colleghi è una sciocchezza”.
Moda e non solo: il tempo stringe
La valanga che ha travolto gli imprenditori è in linea con le previsioni di Anpal e Unioncamere risalenti allo scorso ottobre, trasversali e non legati solo al settore moda. I dati indicavano che le attività sarebbero riprese a un livello accettabile secondo il 32,5 per cento delle imprese del Sud e delle isole, mentre per il 53,5 per cento ciò sarebbe successo entro il secondo semestre 2021. L’indicatore più allarmante però riguardava le tasche degli imprenditori: già a ottobre il 57 per cento di loro prevedeva grossi problemi di liquidità nei sei mesi successivi.
Ecco perché, secondo gli associati guidati da Di Giovanni, gli aiuti a fondo perduto sono rimasti l’unica chance. “Le banche già ci chiudono la porta – commenta il presidente – quindi ormai diventa impossibile anche indebitarsi per salvare l’azienda. Cosa può fare il governo? Per riuscire a dare un aiuto utile, dovrebbe erogare almeno il 20 per cento del mancato guadagno stimato nel 2020. In questo speriamo nel Decreto ristori 5, che pare preveda una percentuale dal 10 al 20 per cento della differenza fra i primi sei mesi del 2019 e i primi sei del 2020”. Ma il tempo sarebbe una variabile più determinante che mai: se la tendenza non viene invertita, la federazione della moda di Assoimpresa prevede “la chiusura di migliaia di aziende entro marzo”.
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