CATANIA – “ManifestA è soltanto una componente parlamentare. Non vuole essere né un nuovo partito, né un nuovo movimento”. Si scrive esattamente così, con la A finale in maiuscolo: non è affatto un errore. Ce lo spiega Simona Suriano, deputata eletta con il Movimento cinque stelle che ha scelto però di non votare la fiducia a Mario Draghi. Allora i vertici del movimento non l’hanno presa affatto bene, nonostante fosse una militante storica. L’editto? Messa fuori. Espulsa.
Onorevole, cosa vuole essere ManifestA?
“È l’aggregazione di quattro donne, quattro deputate fuoriuscite dal M5s, che si sono incontrare sul terreno di alcune battaglie specifiche. Battaglie portate avanti grazie al contributo di due partiti, Potere al Popolo e Rifondazione comunista, che hanno messo a disposizione il simbolo”.
Per farne cosa?
“Dar voce a quel mondo assai vasto che non si sente più rappresentato dalla sinistra presente nelle istituzioni. Penso ai temi della povertà e del lavoro. Tutti problemi che la finta sinistra non affronta più”.
Suriano, lei è di sinistra?
“Sì, con valori di sinistra. Decisamente. Perché ascoltare gli ultimi, anziché puntare alla ripresa economica a tutti i costi, è essere di sinistra. Bisogna saper coniugare economia, ambiente e benessere della persona. Tutti temi scomparsi dall’agenda del Pd: partito che, per me, non è più di sinistra”.
Parla del Pd, ma lei proviene dal Cinque stelle: che succede?
“Negli ultimi anni il Movimento ha virato verso il Pd, abbandonando alcuni temi che per noi erano dei cavalli di battaglia: uno-vale-uno, nessuno-deve-restare-indietro, etc.”
E oggi di che parla?
“Della corsa agli armamenti, dell’ingresso in guerra. Io ricordo che eravamo per la pace e il dialogo. Paradossalmente, oggi, è Salvini a chiedere i corridoi umanitari mentre Letta vuole armare l’Ucraina”.
La geopolitica mondiale sta mutando drammaticamente, ManifestA dove si colloca?
“Abbiamo votato contro la risoluzione che vuole inviare armamenti all’Ucraina. Non crediamo sia questa la soluzione per arrestare il conflitto. La strada della diplomazia è sicuramente difficile, non lo nego, ma armare ulteriormente la gente serve soltanto a esasperare il conflitto”.
Lei trova?
“Quando l’Occidente interviene negli scenari di guerra il conflitto non cessa, anzi. L’ultimo esempio è quello dell’Afganistan. Dopo vent’anni di intervento internazionale siamo stati cacciati dai talebani. Ora ci stiamo scontrando con Putin, uno squilibrato”.
Squilibrato?
“Beh, così almeno ce lo dipingono. Sicuramente ha le armi nucleari, provocarlo significa peggiorare la situazione. Per questo avrei preferito che Italia ed Europa si impegnassero in una incessante ricerca del dialogo”.
Domanda netta: Nato sì, Nato no?
“Entro certi limiti, sì. Ma è una struttura obsoleta, pensata per un mondo diviso in blocchi contrapposti”.
Onorevole, guardando ai ben più piccoli scenari di casa nostra: ManifestA sarà alle prossime Regionali?
“Prematuro parlarne, appunto perché la nostra è una componente parlamentare. Ciò non toglie che se con gli amici di Rifondazione e Potere al Popolo si costruisse una proposta, non dispiacerebbe partecipare alla competizione. Ma non è l’obiettivo principale”.
Su Palermo città, invece?
“Rifondazione e Potere al Popolo sono liberssimi di fare le scelte che riterranno più opportune, indipendentemente dalla nostra componente parlamentare”.
Spostandoci su Catania, lei ha presentato una interrogazione sulla vicenda Pfizer: a che punto siamo della vertenza?
“La situazione mi sembra drammatica, con i lavoratori tutt’altro che fiduciosi. Il ministro Orlando, invece, si è detto disponibile a incontrare i lavoratori e ricercare una soluzione”.
Quale potrebbe essere?
“L’unica percorribile è quella di aprire un tavolo nazionale. Insomma: l’azienda, grazie al Covid, ha visto esplodere il fatturato: non ha senso quanto sta accadendo!”
Si appella al plusvalore: sta citando Karl Marx?
“Non si tratta di voler essere comunisti o marxisti, ma quella del profitto, che non bada alle famiglie o all’ambiente, è una logica perversa”.
Come nasce la crisi Pfizer?
“Dallo sblocco dei licenziamenti voluto da Draghi. L’azienda ha fatto il suo piano industriale, che non è sicuramente quello di produrre in Italia. In tutto ciò non c’entrano le condizioni in cui versa Catania o l’assenza di Pogliese”.
Ecco, come sta la città?
“Nonostante gli aiuti del Salva Catania, la città non sta riemergendo. Ci sono troppi ritardi, anche in vista del Pnrr. Stanno per arrivare tantissimi fondi, ma non è chiaro come verranno spesi. Catania non sta crescendo. Le vicende giudiziarie del sindaco non aiutano sicuramente. Manca una programmazione di lungo respiro, non la vedo”.
Vede, invece, un’opposizione?
“Piccola, ma c’è. I colleghi del M5s, con i quali sono in buoni rapporti, stanno lavorando bene”.
Perché il loro impegno non è percepito dagli osservatori in maniera così decisa?
“Non credo, forse servirebbe una comunicazione più decisa. Ma molte battaglie le portiamo avanti assieme, nonostante non militiamo più nella stessa formazione. E sono tutte battaglie per il bene della città”.