Mafia, campagne e pizzo, le intercettazioni: “Hai chiamato papà?”

Mafia, gli arresti a Catania, il pizzo e le intercettazioni: “Hai chiamato papà?”

I retroscena dell'operazione "Lumia", condotta dalle Fiamme Gialle
L'INCHIESTA
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CATANIA – Dal carcere di Tolmezzo, in Friuli Venezia Giulia, il presunto boss Orazio Scuto dialogava tranquillamente per telefono con i “suoi” ragazzi.  Lo chiamavano “papà”, gli rispondevano “con assoluta devozione” e “lo tenevano costantemente aggiornato su questioni di interesse associativo”. A scriverlo è il gip Dorotea Catena, nell’ordinanza che ha portato ieri a otto arresti, tra cui lo stesso boss, per la cosiddetta “operazione Lumia”. L’inchiesta è stata condotta dalla Guardia di Finanza.

Un documento di 289 pagine che passa in rassegna l’organigramma del clan e ricostruisce le ipotesi di reato, che riguardano i Laudani, ma anche le singole richieste alle vittime. Tra gli arrestati figura Orazio Salvatore Scuto, 66 anni, il cui soprannome originario era ‘u vetraru’. Ora anche “papà”.

L’elenco degli arrestati e i soprannomi

Poi c’è Ivano Aleo “il pugile” o “pitbull Nico”, 42 anni, Alessandro Settimo Bonaccorso “u ponchio”, 52 anni, Antonino Di Pino “u picciriddu”, 27 anni, Salvatore Faro “Mantellina”, “u scecco” o “u campagnolo”, 49 anni.

E ancora, Angelo Puglisi “pitbull grande”, 43 anni, Orazio Sciuto “Mafalda”, 68 anni. E Giuseppe Scuto, alias “Zio Pino”, 61 anni.

Il ritratto del boss e quella ‘lettera anonima’

Orazio Scuto, già condannato per mafia in un procedimento del 2017, sarebbe il referente di Aci Catena del clan Laudani. I cosiddetti ‘mussi i ficurinia’, come noto, sono uno dei gruppi satellite dei Santapaola. È una delle organizzazioni criminali, esistenti nel Catanese, riuscita a mantenere un certo grado di autonomia, nonostante la loro subalternità, rispetto ai Santapaola.

In un esposto anonimo giunto in Procura era scritto che “u vitraru”, storico esponente del clan Laudani, ancorché detenuto comandava ancora. Che “proseguiva – si legge nell’ordinanza – a impartire ordini ai sodali per interferire nelle attività imprenditoriali che ruotavano essenzialmente attorno al mercato agrumicolo dei territori dei paesi pedemontani, dalla produzione al trasporto, alla vendita degli agrumi e degli scarti”.

La Land Rover rubata alla figlia del “Vitraru”

Orazio Scuto parlava con i suoi picciotti attraverso schede telefoniche intestate a ignari extracomunitari, con assoluta spregiudicatezza, dall’interno del carcere. Nell’aprile del 2022 avviene il fattaccio: qualcuno ruba la macchina, una Land Rover, a sua figlia. Viene presentata una regolare denuncia ai carabinieri.

Nel frattempo nel clan è il finimondo. Immediatamente si mettono in moto tutti. E in 24 ore “l’indagine” dei mafiosi si chiude con il rinvenimento e la restituzione dell’auto. Ne parlano, intercettati, “zio Pino” e “Pitbull grande”, ovvero Giuseppe Scuto e Angelo Puglisi.

“Si è trovata questa mattina?”, chiede Puglisi. “Si, ieri mio zio l’ha presa”. “Ma poi alla fıne gli hanno dato soldi zio Pino?”. “Ma una fesseria, non ti preoccupare, tutti santi e benedetti… e per mio fratello”. Insomma, qualunque fosse la somma pagata per la restituzione della macchina, quei soldi erano “benedetti”. Giacchè, come dice Scuto parlando del “Vitraru”, erano stati pagati per risolvere un problema a suo “fratello”.

Le accuse: chi risponde di associazione mafiosa

L’accusa più grave, l’associazione a delinquere di stampo mafioso, è contestata a Orazio Scuto, così come anche a Giuseppe Scuto, a Bonaccorso, Di Pino, Faro, Puglisi, Sciuto. Ci sono poi altri tre indagati a piede libero per mafia. Circa la loro posizione il gip non ha ritenuto che gli elementi indiziari fossero sufficienti per un’ordinanza.

In un caso non sarebbe provato che il soggetto in questione, un imprenditore, facesse davvero parte dell’organizzazione mafiosa. In un altro mancherebbe la prova della cosiddetta ‘affectio societatis’, che è fondamentale per configurare l’associazione mafiosa. E nel terzo non sarebbe stato dimostrato che il denaro corrisposto a un soggetto fosse il pagamento di una sorta di ‘stipendio’, quanto piuttosto di pregresse somme dovute.


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