CATANIA – Una mafia che è cambiata già da tempo, con nuove leve che gestiscono, in modo capillare, il traffico di droga nei principali quartieri. E un dato significativo, “l’altissimo tasso di devianza minorile, correlato agli allarmanti livelli di dispersione scolastica, intorno al 25%”. La nuova relazione della Direzione investigativa antimafia mette al centro della mappa delle famiglie criminali il nuovo esercito dei clan: i ragazzi che hanno abbandonato la scuola dell’obbligo.
Classi vuote e fiumi di soldi
Nei quartieri macinano incassi milionari, 20mila euro al giorno smerciando cocaina e marijuana in ogni singola strada. Una vera e propria industria con minorenni che lavorano da “vedetta”, per poi salire di grado e diventare pusher o, addirittura, trafficanti che si interfacciano con i centri di distribuzione internazionali.
Classi vuote, perché Catania è al primo posto della classifica tra le quattordici città metropolitane del nostro Paese, come ha ricordato Filippo Pennisi, il presidente della Corte d’Appello durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario.
Il clan diventa la nuova famiglia
Contesti difficili, giovani che crescono spesso in condizioni precarie, coltivando il mito dei mafiosi da telefilm. “Grazie” all’organizzazione criminale, riescono a mettere su famiglia, da minorenni, il resto è la storia di ogni quartiere. A Picanello, per esempio, villaggio di 70mila abitanti che attraversa il Corso Italia, culla della Catania bene, i Ceusi controllano droga con giovani leve, estorsioni, usura e rapine, soprattutto fuori provincia. E celebrano il potere dei vari gruppi con le scommesse sulle corse clandestine di cavalli, con i fantini pregiudicati o latitanti, che corrono scortati da centinaia di scooteroni spesso rubati ed elaborati. A clacson spianati e urlando “pistole nella Fendi”, di Niko Pandetta.
Le nuove articolazioni degli Ercolano – Santapaola
Quando nel giugno del 2022 scatta l’operazione Agorà, Cosa nostra è retta da un triumvirato, (Michele Schillaci, Turi Rinaldi e Carmelo Renna), come svelano alcuni pentiti. Uno dei principali è Silvio Corra, cognato di Angelo Santapaola, ammazzato – quest’ultimo – nel 2007. Il collaboratore parla delle tensioni e delle raccomandazioni, “di non litigare”, che arrivano continuamente dai boss.
Nell’ordinanza di custodia cautelare, che inchioda la parte imprenditoriale dei Santapaola, si legge che questa famiglia mafiosa rappresenta “l’espressione più pericolosa della forza e dell’aggregazione che ancora oggi il nome Santapaola- Ercolano esercita sulla città e sui paesi della provincia”.
Ma qualcosa è cambiato, rispetto a quando lo “Zio” Pippo Ercolano fingeva di lavorare in una nota concessionaria di autovetture e guidava il clan, insieme a storici e fidati collaboratori. Non sono più i tempi in cui il boss riusciva a fornire direttamente la sabbia per il cemento di grandi appalti, come nel caso della Catania – Siracusa. La famiglia Santapaola – Ercolano è “ridimensionata dai ripetuti provvedimenti giudiziari e indebolita da una leadership spesso affidata a “reggenti” non autorevoli”.
L’organizzazione del clan
Ci sono le “squadre”, che gestiscono Catania e prendono il nome dai quartieri di riferimento: Librino, San Cosimo, Villaggio Sant’Agata, Picanello e San Giovanni Galermo. In provincia, “in assenza di una gestione diretta – scrive la Dia – l’organizzazione è rappresentata da sodalizi stanziali che garantiscono una pluralità di interessi criminali e un sempre più capillare controllo del territorio”. E poi le famiglie tradizionali, ciascuna indebolita dai collaboratori di giustizia, spesso esponenti di rilievo.
Il rischio per l’economia
Sembra una frase di rito, ma l’attenzione è alta su come saranno gestite le risorse del Pnrr e gli altri fondi già stanziati per le grandi opere di Catania: dalla metropolitana all’interramento dei binari ferroviari. E c’è un ultimo allarme, ribadito da Pennisi e richiamato dalla Dia, dopo la crisi covid e le difficoltà che attanagliano numerose imprese: “L’attenzione investigativa si è focalizzata nel monitoraggio del rischio che le attività imprenditoriali medio-piccole (ossia quel reticolo sociale e commerciale su cui si regge l’economia delle provincie del distretto) vengano, nel medio periodo, fagocitate dalle consorterie malavitose, diventando strumento per riciclare e reimpiegare capitali illeciti”.