La recente foto di due deliziose scimmiette che teneramente si abbracciano, gli occhi sbarrati e impauriti a difendere la propria natura di cuccioli, esprime un paradosso già noto: quello di un futuro minaccioso e fantascientifico presentato con l’immagine della tenerezza. Era successo così anche con una pecorella di nome Dolly, vent’anni fa, quando la più inoffensiva delle creature animali sembrò nascondere una tremenda anticipazione: l’uomo capace di duplicarsi.
La notizia attuale ci dice di una ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica “Cell”, che ha come autori Zhen Liu e colleghi, dell’Institute of Neuroscience di Shanghai. Con una complessa tecnica di laboratorio, gli scienziati cinesi sono riusciti ad ottenere due individui perfettamente uguali da due cellule embrionali di macaco altrettanto uguali nel loro corredo cromosomico, poiché generate dal nucleo di una sola cellula originaria.
Teoricamente, due o più cellule embrionali uguali e “totipotenti”, cioè non ancora differenziate in organi e tessuti, possono dare origine a due o più individui perfettamente identici. Tecnicamente, queste cellule possono essere ottenute secondo due modalità: la prima si chiama “scissione embrionale”, (“embryo splitting”), ed è quanto si realizza già in natura, quando due gemelli detti, per questo motivo, “mono-ovulari”, si dimostrano perfettamente uguali, avendo lo stesso corredo genetico. La seconda si chiama “trasferimento nucleare di cellula somatica (SCNT)” e consiste nell’introduzione del nucleo di una cellula del corpo di un donatore (in genere proveniente dall’apparato gastroenterico) all’interno di un ovocita privato del suo nucleo; quest’operazione, realizzata in laboratorio, fa da “start” alla moltiplicazione cellulare e alla realizzazione di un embrione in crescita, con le identiche caratteristiche del soggetto donatore del nucleo originario. Questo è ciò che viene definito “metodo Dolly”, a partire dall’esperimento fatto a spese della nota pecorella, nel 1997.
A differenza della pecorella Dolly, nel caso delle due scimmiette Zhong Zhong e Hua Hua, ottenute con il “metodo Dolly”, la presunta minaccia è sostenuta dal fatto che i due cuccioli di macaco siano due Primati, cioè due rappresentanti del genere animale più prossimo all’uomo. Non si era mai riusciti a tanto, in passato. Sembrerebbe, così, avvicinarsi sempre più un momento vaneggiato da secoli, un obiettivo fino ad ora confinato solo in alcuni fantasy, un potere in più nelle mani dell’uomo, l’animale più pericoloso del pianeta: la moltiplicazione illimitata di individui tutti uguali.
Ma è proprio così? È davvero questo l’intento, se non della Scienza, almeno di alcuni scienziati matti, inebriati dalla voglia di dominare il mondo dal chiuso dei loro fumosi e tenebrosi laboratori, nascosti in qualche oscuro luogo perduto nelle sconfinate terre della Grande Cina?
In realtà, le vere intenzioni non sembrano essere queste, in accordo con gli attuali ordinamenti giuridici di pressoché tutti i Paesi del mondo, nei quali la clonazione è vietata. Secondo gli autori della ricerca, la clonazione dei primati non umani consentirebbe, fra l’altro, di studiare molte patologie umane, in particolare quelle neurodegenerative (quali il morbo di Alzheimer, la malattia di Parkinson e la còrea di Huntington). Gli studi genetici sui primati sono, infatti, particolarmente vantaggiosi per conoscere meglio e combattere questo tipo di malattie, la loro genesi, il carattere eventuale di ereditarietà. Gli altri modelli animali servono poco a questo scopo. Pur non essendo vietata, tale ricerca appare, in Europa e in America, particolarmente difficile, a causa della limitatezza degli animali-campione; in Estremo Oriente, invece, per la maggiore disponibilità di esemplari, questo problema è ridotto.
Semmai, l’attenzione delle nostre coscienze potrebbe rivolgersi – non sarebbe una novità – alla vexata quaestio dell’uso degli animali a scopo scientifico-sperimentale; problema enorme, dalle rilevanze morali molto pesanti. Ma è un altro discorso.
La clonazione sperimentale non è, dunque, finalizzata alla sua eventuale estensione al genere umano; ci appare remota l’ipotesi di un’umanità indistinta, di eserciti costituiti da soldati invincibili perché identici, di una genia di uomini tutti accomunati dal medesimo corpo ed un unico pensiero. Questo per un motivo tanto semplice quanto disarmante: non serve a niente e a nessuno. Il clone di un individuo non assicurerà mai, a questi, alcuna forma di sopravvivenza oltre la sua morte, di eternità; la perfezione non è mai stata, né potrà mai essere, appannaggio di nessuno.
Qualcuno ha ipotizzato che la clonazione possa, allora, offrire la disponibilità di organi al fine di trapianti, in caso di malattia. Cosa significherebbe? Generare persone destinate unicamente a fornire i propri organi ad un loro presunto “titolare”. È un’ipotesi paurosa. La mente va ad alcune situazioni tristissime e dolorose – ahimè del nostro tempo e del nostro contesto sociale – di genitori disperati che programmano una gravidanza con l’intenzione di generare il potenziale donatore di organi per un figlio, già nato, gravemente ammalato. Bisogna affermare, ancora una volta, che la persona, ogni persona, è sempre un “fine”, mai un “mezzo”; non c’è visione morale degna di questo nome che potrà mai professare il contrario.
La disponibilità di organi “propri” potrà un domani, si spera, essere un successo dell’ingegneria genetica, ma questa non avrà la necessità di alcun passaggio obbligato attraverso esperimenti come la clonazione di un intero organismo umano. Per molti anni ancora, questo è certo, la riproduzione umana continuerà ad avvenire attraverso una cellula uovo fecondata da uno spermatozoo; i figli si continueranno a fare così, perché così si assortisce la variabilità genetica, che è fondamentale per l’evoluzione della specie; ottenere uomini che si riproducono per clonazione non avrebbe senso perché dopo qualche generazione la specie si estinguerebbe; il continuo assortimento genetico è, invece, un elemento su cui l’umanità ha basato la sua vitale adattabilità ad ogni variazione ambientale, cioè la sua vera forza.
Del resto, stento ad immaginare il clone di un altro individuo, che prima di lui abbia provato per la prima volta esperienze, gioie e dolori, successi e sconfitte, che potrebbe cadere nella tentazione di voler riscrivere la sua vita su quella del suo clone, trasformando rimpianti in correzioni, errori in cancellazioni, piccole gioie in beatitudini perenni. Non sarebbe possibile, né giusto, né utile. Stento ad immaginare un altro come me; credo che il mondo, di uno come me ne abbia meritato uno solo e basta. E in questo trovo d’accordo anche mia moglie.