Intervista a Padre Cosimo Scordato animatore del Centro sociale San Francesco Saverio nato nel difficile quartiere palermitano dell’Albergheria nel 1985 e protagonista, insieme a don Pino Puglisi, don Paolo Turturro e don Baldassarre Meli, della stagione dei “parroci di frontiera”, che all’indomani delle stragi, decisero di prendere in mano la situazione e parlare direttamente alla gente.
E’ di qualche giorno fa la notizia secondo la quale Totò Riina, all’ergastolo nel carcere milanese di Opera, avrebbe chiesto un provvedimento di clemenza per intercessione dell’arcivescovo di Milano Tettemanzi. Lei da uomo di Chiesa, come si pone rispetto a questo fatto?
“Nella concezione cristiana, l’ottenimento della grazia passa per la conversione. Occorre innanzitutto riconoscere i propri errori per collaborare e per evitare anche che siano altri a commettere gli stessi errori. La grazia come sacramento non è un qualcosa che si ottiene a buon mercato, quasi in modo automatico. Serve un cambiamento radicale di mentalità”.
Le condizioni al limite dell’umanità nelle quali vivono molti detenuti negli istituti non aiutano il percorso di conversione. Qual è la sua esperienza a tal proposito?
“Ricordo che una volta, tanti anni fa, andai a trovare un detenuto nel carcere dell’Ucciardone. In effetti le condizioni erano assai problematiche, la situazione complessiva piuttosto squallida. Ricevo molte lettere di persone che mi conoscono, di fedeli in carcere. Spesso trapela scoramento. Provo a incoraggiarli, li esorto ad andare avanti nonostante le difficoltà. E’ necessario tenere distinto il momento spirituale dalla dimensione giudiziaria. Altrimenti si corre il rischio che il concetto di pentimento scivoli verso quello di pentitismo, che è diventato ambiguo negli ultimi tempi”.
Come si coniugano, nell’ottica cattolica, la sete di giustizia e il perdono per chi sbaglia?
“Si coniugano in un percorso di fede, sincero, lungo e autentico. La concessione di un atto di clemenza non è un patto magico, occorre creare le condizioni necessarie. Non esiste la grazia a prescindere, prima viene la conversione e questo vale per tutti i detenuti. Inoltre, anche la pena è una tappa necessaria di questo percorso di fede.Il perdono e la grazia vanno meritati. Chi si pente e si converte, già riceve nel suo intimo la grazia di Dio”.