Ci sono immagini che non vorresti mai vedere. Se sei un giornalista non puoi scegliere di non vederle. Ma puoi scegliere cosa mostrare e cosa non. Perché, dall’altra parte dello schermo, che una volta era soltanto il foglio di carta del giornale, ci sono persone che soffrono e hanno diritto a non essere percosse ancora di più. E allora devi visionare con scrupolo la cronaca, cercando di non farla diventare ‘pornografia’ in senso lato. Cioè, una esibizione del dolore che si trasforma in macabra oscenità. E se qualcosa arriva dalla strada, devi stare ancora di più attento.
Ma forse è anche colpa nostra, di noi giornalisti, genericamente intesi, se, invece, la ‘pornografia del dolore’ è diventata la normalità, come è accaduto nel tragico caso dell’incidente di viale Regione in cui hanno perso la vita Alessia Bommarito e Chiara Ziami (nella foto), due ragazze di cui dobbiamo celebrare, precocemente, la memoria. E che cosa è accaduto? Che in rete, vorticosamente, sono stati diffusi filmati, immagini, dettagli e racconti video che in qualche caso hanno violato quel lutto, trasformandolo, suo malgrado, in pornografia.
Probabilmente, noi che ‘facciamo comunicazione’ non ci siamo spiegati abbastanza bene nello scorrere di una simile risacca. E cosa c’è da spiegare? Che la vita umana non è un riflesso. Che, prima di prendere il telefonino e filmare, devi pensare a chi non c’è più, a chi soffre, a chi viene sommerso da un’ondata di strazio e che ogni racconto ha bisogno di un filtro, di una mediazione, di un sussulto di rispetto. L’indicibile non si può mostrare, puoi provare a raccontarlo e non è semplice.
Cercare di acchiappare al volo un frammento tremendo della vita e della morte con i mezzi che la tecnica ci offre è quanto di più lontano ci sia dalla morte, dalla vita e dalla dignità che richiedono. Se c’è una lezione che il nostro mestiere insegna è questa: nessuno è immune dal dolore ecco perché chiunque riesce a farsi un’idea di quanta lacerazione ci sia nel voyeurismo dei social. Ma forse è anche colpa nostra.