"Finte minacce" da uno 007| Ciancimino jr indagato per calunnia - Live Sicilia

“Finte minacce” da uno 007| Ciancimino jr indagato per calunnia

Massimo Ciancimino

Nuova tegola sulla credibilità di Massimo Ciancimino. Il pm di Bologna ha chiesto il rinvio a giudizio. Il reato sarebbe stato commesso agevolando Cosa nostra. Dal tritolo alla calunnia a De Gennaro: gli scivoloni del figlio di don Vito. Secca la replica dei legali: "I processi li facciamo nelle aule di giuistizia e non sui giornali".

Palermo - l'inchiesta
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PALERMO – Calunnia aggravata dall’avere agevolato Cosa nostra. Nuova tegola giudiziaria sul capo e sulla credibilità di Massimo Ciancimino. Il pubblico ministero di Bologna Enrico Cieri ha chiesto il rinvio a giudizio per Ciancimino jr che raccontò di essere stato minacciato dall’agente dei Servizi segreti Rosario Piraino. Il giudice per l’udienza preliminare deciderà se mandarlo o meno sotto processo il prossimo 24 aprile.

“Mere illazioni”. così i magistrati bolognesi bollarono le denunce di Ciancimino e archiviarono l’inchiesta a carico di Piraino, assistito dagli avvocati Nico Caleca e Marcello Montalbano, che decise di querelarlo. La vicenda ha inizio il 5 maggio 2009 quando il figlio di don Vito raccontò ai magistrati di Palermo di avere ricevuto, qualche settimana prima, una lettera minatoria. La missiva, raccontava, gli era stata recapitata nella cassetta della posta della sua abitazione di Bologna. Conteneva tre fotografie di Ciancimino jr, cinque proiettili e l’avvertimento che con le sue dichiarazioni si era messo contro tutti, persino contro la magistratura. Qualche mese dopo, Ciancimino jr aggiungeva che Pirano era andato a minacciarlo a casa. Lo aveva invitato a tenere la bocca chiusa, a smettere di rendere dichiarazioni ai pm palermitani (Ciancimino riveste il doppio ruolo di imputato e testimone chiave nel processo sulla trattativa Stato-mafia) perché si era infilato in un “vicolo cieco”. Meglio pensare, così Piraino gli avrebbe detto, ai suoi familiari.

Ciancimino jr non sapeva, però, che i poliziotti avevano piazzato una telecamera davanti all’abitazione del figlio dell’ex sindaco di Palermo. E così si scoprì che nei giorni delle presunte minacce nessuno si era fatto vivo a casa sua. Compreso quel pomeriggio di luglio quando raccontò: “Ho sentito suonare, ho sollevato il ricevitore, non ho visto nessuno, ho aperto la porta e mi sono trovato davanti un uomo alto un metro e 70-1,75, sui 40-50 anni, capelli scuri brizzolati, vestito con giacca coloniale, con fazzoletto bianco nel taschino, pantaloni scuri e mocassini. Mi chiedeva, senza alcuna inflessione dialettale, ‘si ricorda di me? Da oggi non la protegge più nessuno, sei una testa di c… tu devi pensare a tua moglie e tuo figlio’”.

Ciancimino jr si ricordava bene di lui perché, raccontò, “era venuto nell’agosto 2006 nel mio appartamento di Palermo quando mi trovavo agli arresti domiciliari accompagnato da due uomini che al videocitofono mi mostravano il tesserino da carabiniere”. Il 3 luglio, tra le 14 e le 17 e 30, tante persone avevano varcato la soglia del portone del palazzo. Nessuna, però, aveva gli abiti coloniali, indossati, secondo Ciancimino, dal Capitano. Il Capitano, così lo chiamavano i due carabinieri che a Palermo, nel 2006, avevano mostrato il tesserino al figlio di don Vito Ciancimino. E chi è il Capitano? Nel 2010 Ciancimino lo aveva indicato tra le foto che gli erano state mostrate dai magistrati di Caltanissetta. Si trattava di Piraino. Per la cronaca Ciancimino jr è indagato per calunnia anche dai pm nisseni, gli stessi che lo accusano di avere calunniato anche l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro.

I magistrati bolognesi avevano analizzato i tabulati del cellulare di Piraino che, tra il luglio 2009 e il luglio 2011, non aveva agganciato la cella di Bologna e provincia. Nell’estate 2012 Piraino venne interrogato. Raccontò che era stato messo a confronto con Massimo Ciancimino che lo aveva riconosciuto nonostante fosse alto un metro e 94, una ventina di centimetri in più dell’uomo descritto da Ciancimino. Non è tutto. Gli avvocati Caleca e Montalbano presentarono l’estratto conto della carta di credito di Piraino che il 3 luglio, giorno delle minacce, risultava avere pagato 255 euro nel negozio Caro Cavallo di Palermo. Ed ancora, la Presidenza del Consiglio dei ministri mise nero su bianco che quel Piraino aveva prestato servizio nel capoluogo siciliano. E così i pm conclusero che “qualora il fatto del 3 luglio 2009 si sia effettivamente verificato, non fu certamente Piraino a presentarsi presso l’abitazione bolognese di Massimo Ciancimino”.

L’inchiesta per minacce a carico di Piraino è stata archiviata. Ora tocca a Ciancimino jr difendersi dall’accusa di calunnia aggravata. Un nuovo colpo alla credibilità dell’imputato e testimone del processo sulla Trattativa che, per la verità, ci ha messo del suo per renderla parecchio vacillante. Pensiamo ai candelotti di dinamite che fece ritrovare nel giardino di casa, sostenendo di averli ricevuti da un non precisato personaggio a scopo intimidatorio, salvo cambiare versione quando i magistrati scoprirono che si era portato l’esplosivo da Bologna. Colpa della paura, disse per giustificarsi.

Oppure quando ”incolpò, sapendolo innocente”, – si leggeva nel capo d’imputazione – Lorenzo Narracci, altro 007, di avere fatto da mediatore tra il padre, Bernardo Provenzano, e il signor Carlo o Franco, il personaggio misterioso che ha popolato spesso i suoi interrogatori. Così come calunniò Gianni De Gennaro, sostenendo che l’ex capo della Polizia avesse avuto rapporti sin dalla fine degli anni ’80 con il conte Romolo Vaselli, “fornendogli informazioni coperte da segreto investigativo, al fine di farle pervenire a Vito Ciancimino”.

Oppure, ancora, quando nello sgabuzzino di casa sua, a Palermo, venne fuori il documento, poi risultato taroccato, in cui De Gennaro veniva indicato in un elenco di personaggi delle istituzioni che avrebbero avuto un ruolo nella Trattativa. I periti stabilirono che il nome del poliziotto era stato scritto in epoca successiva alla redazione originaria del manoscritto. Secca la replica dei legali di Ciancimino, gli avvocati Roberto D’Agostino e Francesca Russo: “I processi li facciamo nelle aule di giuistizia e non sui giornali”.


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