Processo Ciancio, requisitoria dei pm: “Fu tra i più potenti di Sicilia” - Live Sicilia

Processo Ciancio, requisitoria dei pm: “Fu tra i più potenti di Sicilia”

Concorso esterno in associazione mafiosa: sono iniziati ieri gli interventi dei pubblici ministeri Antonino Fanara e Agata Santonocito.
TRIBUNALE DI CATANIA
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CATANIA. Ha esordito dicendo di farlo “con una certa emozione”, dato che si tratta di un processo che ha impegnato per anni la Procura di Catania. E ha ricostruito i termini generali dell’inchiesta, prima di passare la parola alla collega Pm Agata Santonocito, che ha trattato la ricostruzione storica e le tesi dei pentiti.
Si è aperta così, ieri mattina, dinanzi al Tribunale collegiale di Catania, presieduto dal giudice Roberto Passalacqua, la requisitoria del Pm Antonino Fanara al processo a carico di Mario Ciancio Sanfilippo, editore e noto imprenditore catanese, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, difeso dagli avvocati Carmelo Peluso e Giulia Bongiorno.

La requisitoria di Fanara

“Già il gip – ha detto Fanara – a seguito di una richiesta di archiviazione che definirei tecnica e su cui non spenderei altre parole, aveva all’epoca imposto al pubblico ministero di esercitare l’azione penale, poi ulteriori indagini, perché già con le fonti di prova che all’epoca vi erano, che vi assicuro erano molto inferiori a quelle odierne, aveva ritenuto che dagli episodi sopra valutati c’è sicuramente ‘un rapporto sinallagmatico’ instauratosi tra l’odierno indagato e gli esponenti di Cosa Nostra”.

Un “procedimento complesso”, lo ha definito, per via della “complessità della vita dell’imputato, che è del 1932, oggi ha 91 anni, ma che sicuramente dal 1960 a oggi è stata una persona particolarmente rilevante, se non ritenuto tra le persone più potenti non solo di Catania ma di tutta la Sicilia”. E la complessità del processo, ha sottolineato, si evince pure dalla vastità del materiale prodotto, dato che si sarebbe formato con circa 60 faldoni e “solo 27 udienze”, ma è stato possibile contenere il numero di date solo perché molto materiale è stato acquisito con il consenso delle difese: altrimenti “ci sarebbero volute altre 15 udienze”. Sono stati sentiti numerosi collaboratori di giustizia, che in qualche modo avrebbero parlato dell’ipotetico rapporto di Ciancio con esponenti di Cosa Nostra.

L’intervento della Santanocito

Successivamente, la parola è passata alla Pm Agata Santonocito, che ha iniziato attorno alle 12 e ha proseguito nel pomeriggio. Una requisitoria che è passata anche da una ricostruzione storica della mafia catanese, dagli anni ’60 in poi, passando per gli anni ’70, quando Calderone era rappresentante provinciale di Cosa Nostra e Santapaola capo decina. “All’epoca (negli anni ’70, ndr), la mafia contava 30-35 uomini d’onore a Catania. Non tanti, ma quanti bastavano per mettere l’intera città sotto il tallone della mafia”. Poi l’ascesa di Nitto Santapaola e l’uccisione di Calderone, voluta a Palermo e commissionata proprio a Santapaola, nel settembre del 1978; con Santapaola che successivamente, a gennaio del 1979, diventa capo provinciale di Cosa Nostra. Un periodo in cui, ha sostenuto la Pm, a Catania molti politici, imprenditori e mafiosi andavano a braccetto.

La Santonocito poi si è concentrata sull’imputato, ricostruendo le tesi dei collaboratori di giustizia, partendo dalle parole del pentito Giuseppe Ferone, che avrebbe detto: “Ciancio è n’amicu, si ci po’ parrari”; e proseguendo con Angelo Siino. Il ministro dei lavori pubblici di Totò Riina avrebbe riferito un episodio in cui il boss Ercolano si sarebbe lamentato di un articolo pubblicato su La Sicilia, andando su tutte le furie. Tra i collaboratori di giustizia sentiti in aula, poi, è stato citato anche Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito.

La ricostruzione del collaboratore di giustizia

Ricostruita poi la testimonianza di Francesco Squillaci, altro collaboratore di giustizia che ha riferito di aver organizzato e compiuto un finto attentato a casa di Ciancio, che sarebbe stato chiesto a Cosa Nostra, a detta del pentito, dallo stesso Ciancio, il quale nell’estate del 1990 avrebbe avuto bisogno di lavorare sulla propria immagine. Squillaci avrebbe lanciato una bomba aldilà di un muretto esterno della casa di Ciancio, ma si sarebbe trattato, ha spiegato il pm ricordando la ricostruzione del pentito, di una bomba con una carica molto bassa. La stampa, ha sottolineato il magistrato, non diede la notizia, facendo notare che di certo, il pentito, non ha letto di questa notizia dai giornali. “Gli fu riferito – ha aggiunto la Pm – che Ciancio era un aggancio importante per la famiglia di Cosa Nostra catanese perché aveva agganci nel mondo politico e nel tribunale di Catania”.

Questa, insomma, sarebbe stata la tesi del collaboratore di giustizia: pur in un periodo in cui, ha ricordato lo stesso Pm, l’imprenditore Ciancio riceveva i reali di Spagna, i principi d’Inghilterra e veniva ricevuto in udienza privata dal Papa, la sua immagine sarebbe stata in qualche modo “appannata”. Appannata perché le denunce contro la mafia di Pippo Fava avevano messo in luce la presenza e la pericolosità di Cosa Nostra a Catania, mentre l’opinione pubblica “ufficiale”, in qualche modo, continuava a sostenere che a Catania la mafia non esistesse, tant’è che lo stesso Ciancio avrebbe detto che il suo giornale faceva “stretta informazione”, mentre l’attività di Fava era “un giornalismo all’avanguardia”. Appannata, inoltre, lo sarebbe stata, sempre secondo la ricostruzione della Pm, dalla vicenda relativa della mancata pubblicazione su La Sicilia di un necrologio in memoria di Beppe Montana.

Aggiornamento e rinvio

La requisitoria della dottoressa Santonocito si è conclusa alle 13,40 ed è ripresa nel pomeriggio. Al termine il presidente del Tribunale collegiale ha fissato altre due udienze per la requisitoria, nel pomeriggio del 6 marzo e la mattina del 20.
Poi saranno fissate ulteriori udienze per le arringhe dei difensori di parte civile e degli imputati.


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