Il governo Crocetta si è svegliato. Si è accorto, improvvisamente, della lunga sfilza di incarichi legali all’Irsap. Incarichi legittimi, secondo l’ex presidente Cicero. Il segno di uno spreco, secondo la vicepresidente Mariella Lo Bello. Ma non è il merito della questione che ci interessa.
Il governo si è svegliato, questo è importante. O semplicemente ha cambiato idea. E la svolta è stata netta. Una inversione “a U” sorprendente. Ma fino a un certo punto. Sugli incarichi legali all’Irsap avevamo scritto tre anni fa. Ecco l’articolo.
Con quel pezzo non davamo notizia di un reato, ma di un malcostume certamente. E invece, in quei giorni, si scatenò una bufera. Per quegli articoli fummo denunciati più volte in Procura. Non solo. Quelle carte, quei servizi finirono – appare persino incredibile pensarlo – sul tavolo della Commissione antimafia all’Ars. Un fatto che apparirebbe inspiegabile (e che infatti, dal punto di vista processuale si è chiuso sempre con le archiviazioni), se solo non ci fosse stata, in mezzo, quella conferenza stampa. Erano i primi di agosto del 2013. Il presidente Crocetta si mostrò, in quell’occasione, grintoso ben al di sopra della media. Del resto, giocava nella sua parte di campo. Quella dell’antimafia urlata, quella dell’assedio dei cattivi contro i puri. Quello della lotta del bene contro il male. E il governo Crocetta, manco a dirlo, giocava dalla parte del bene.
In quell’occasione il governatore, in pratica, affibbiò a chi aveva scritto sull’Irsap la lettera scarlatta della mafiosità. “Purtroppo l’atmosfera di tensione in Sicilia – disse – è alimentata anche da alcuni giornalisti che forse vogliono sostenere che la mafia che io denuncio non esiste e deve continuare a non esistere”. E ancora: ”È arrivato il momento di far sapere ai siciliani qual è la partita e anche gli organi di informazione devono decidere da che parte stare. La vittima e l’aggressore non possono essere messi sullo stesso piano”. E poi: “C”è qualche testata che si diverte a sfotterci, presenterò un dossier su questo fatto. Non è possibile che quando noi attacchiamo la mafia c’è una parte dell’informazione che gioca sporco. E vedremo anche che rapporti di parentela ci sono: preparerò un dossier”. Ebbene sì, arrivammo persino lì. Alla minaccia di un dossier che svelasse i “torbidi” rapporti di parentela dei giornalisti che avevano osato porsi una domanda sull’utilizzo dei soldi dei siciliani.
Ovviamente, non mancò la solita promessa di fare una visita ai magistrati: “Laddove riterrò che gli attacchi siano sistemici – disse Crocetta – mi rivolgerò alla procura della Repubblica. Il mio ragionamento è di sensibilizzazione. Io sto dicendo: noi stiamo sfidando i poteri mafiosi. La stampa deve decidere se dare lo stesso spazio alla vittima e all’aggressore. Alfonso Cicero – ribadì – porta avanti la battaglia di moralizzazione antimafia. Per lui parlano dossier grossi così”. Le cose sono cambiate, evidentemente. Lo stesso Cicero ha accusato quel governatore di aver avanzato “richieste indicibili”. Crocetta ha risposto con una minaccia di querela al geometra. Ma come? E la lotta alla mafia? E la scelta di campo? E quelli che dovevano stare “dalla parte giusta”? Il presidente ha cambiato idea, insieme al mutamento degli interessi. Il suo governo ha cambiato idea, insieme al cambiamento di alcuni equilibri. E si è svegliato all’improvviso, a tre anni da quelle accuse ai cronisti, da quei veleni sparsi col solito strumento della retorica antimafiosa. “Quegli incarichi costano troppo” ha denunciato in commissione bilancio. Qualcuno lo aveva detto tre anni prima. Ma per il presidente stava solo facendo il gioco della mafia.