PALERMO – Un silenzio sulla vicenda lungo quasi tre mesi, poi il disvelamento del suo verbale di interrogatorio da parte di Livesicilia e la decisione di tornare a dire la sua su una vicenda “che negli ultimi mesi – racconta – mi ha stravolto la vita”. Tono basso, voce rotta e qualche pausa al telefono per spiegare quanto scritto in un lungo post Facebook e per descrivere uno stato d’animo “diviso”. Claudia La Rocca, testimone chiave nell’inchiesta firme false che ha scosso il Movimento cinque stelle a Palermo e che la vede tra gli indagati, non nasconde le difficoltà attraversate in questi mesi. “Vivo un sentimento doppio – racconta -. Da un lato la voglia di mollare tutto al termine del mio mandato da deputato regionale, dall’altro la convinzione che sia giusto continuare il buon lavoro fatto in questi anni e che viene riconosciuto da tanti”. Continuare significa ricandidarsi nelle file dei Cinquestelle alle Regionali d’autunno.
Il limite del doppio mandato sarebbe rispettato – così come le regole canoniche del movimento che prevedono incompatibilità soltanto nei casi di condanna, patteggiamento o prescrizione a seguito di un rinvio a giudizio – ma resta, al momento, un macigno sulla sua ricandidatura: il movimento potrebbe decidere di escludere gli indagati dalle liste con una norma ad hoc e se così non fosse si porrebbe comunque una pesante questione di opportunità: “Mi rendo conto dei problemi che porrebbe una mia ricandidatura – ammette La Rocca, autosospesasi dal movimento insieme con il collega Giorgio Ciaccio, anche lui indagato, dopo le ammissioni fatte davanti ai pm – ma non ci sarebbe nulla di male a tentare di dare seguito all’esperienza maturata in questi anni e ad avere ‘sane’ ambizioni’. Non sarebbe una questione di poltrone ma la continuazione di un percorso di valore riconosciuto da tutti – prosegue – ma se si dovessero creare condizioni che non premierebbero il merito a quel punto non andrei in lista. Non intendo fare carte false per essere ricandidata, è una questione di dignità”.
Dallo scoppio dello scandalo firme false non ha mai interrotto il suo lavoro all’Ars, dove nonostante l’autosospensione fa ancora parte del gruppo parlamentare continuando a restituire parte dell’indennità di parlamentare. Come lei anche Ciaccio. “Ho restituito 214mila euro ai cittadini e ho raggiunto obiettivi come la legge sull’albergo diffuso e il raddoppio delle royalties sui prodotti petroliferi. Sento attorno a me il sostegno di tanti ma dall’altro lato vengo vista come una macchia nel purismo che c’è nel movimento. Mi sento in gabbia, in un limbo”. Segnali, atteggiamenti, “cose non dette” ma che “mi fanno sentire ‘scomoda’ provocando in me profonda amarezza”. L’indagine è ancora in corso e presto potrebbe arrivare la richiesta di rinvio a giudizio: “Ho fiducia nella giustizia. Solo e soltanto lei deciderà se quanto accaduto meriterà una condanna, se sono colpevole”.
Il nodo è sempre quello delle firme falsificate per presentare la lista pentastellata alle Amministrative 2012. Su Facebook La Rocca minimizza: quelle firme “pur sbagliando – sostiene – sono state ricopiate, non inventate. Non voglio sminuire quanto accaduto, ma dare il giusto peso alle cose. Chi ha firmato ha dimostrato una evidente volontà di vedere in corsa la lista M5s. E’ stato fatto un errore. Non c’era la consapevolezza che si stesse commettendo un reato. In quel tempo – ricorda – viaggiavamo nell’ingenuità generale”. A distanza di anni resta sul campo la profonda frattura con i cinque deputati nazionali: gli indagati Giulia Di Vita, Riccardo Nuti e Claudia Mannino, oltre che Loredana Lupo e Chiara Di Benedetto. Una divisione lontana nel tempo e che emerse nella riunione del meet-up ‘Il Grillo di Palermo’ dell’1 luglio 2016: “L’assemblea votò per la celebrazione delle comunarie interne, ma i deputati nazionali volevano le comunarie online aperte a tutti gli iscritti. La loro posizione fu minoritaria ma misero in campo tutta la loro capacità di pressione su Roma affinché quel voto venisse sconfessato”. La deputata regionale contesta anche le dichiarazioni messe a verbale da Chiara Di Benedetto (“La Rocca e Trizzino avrebbero voluto un ruolo organizzativo nelle comunarie”): “Non è vero, ci fu un voto e loro non lo rispettarono”.
Il solco con i compagni d’avventura di un tempo è ormai profondissimo: “Dopo l’elezione a Roma hanno iniziato a perdere contatto con la base degli attivisti a Palermo – sostiene La Rocca -. E’ cresciuta in loro la presunzione di essere gli unici depositari della verità sul movimento e sulle mosse che andavano fatte. Per loro – aggiunge – gli attivisti erano degli estranei che non avevano capito lo spirito dei Cinquestelle e che non sapevano quale fosse la cosa giusta da fare. Avrebbero dovuto aiutare quelle persone a crescere e a far crescere il ovimento, invece si sono chiusi in loro stessi e isolati”.