Cocaina, il ruolo della 'ndrangheta nel narcotraffico a Catania

Cocaina, il ruolo della ‘ndrangheta nel narcotraffico a Catania

Il ruolo di monopolio e l'importazione dal sud America

CATANIA – Tonnellate di cocaina, controllate dai calabresi e distribuite dai catanesi: si può riassumere così lo schema del narcotraffico nella zona di Catania, soprattutto per la cocaina. La polvere, fabbricata soprattutto nel sud America, è monopolio assoluto dei calabresi, che hanno i contatti e i mezzi per importarla in tutta Italia.

Nel catanese la cocaina arriva in due modalità: via mare, grosse spedizioni che poi prendono la via della Calabria e da lì in tutta Italia; e via terra, dalla Calabria a Catania e da qui al resto della Sicilia, per la vendita al dettaglio e l’arrivo nelle varie piazze di spaccio.

In mezzo una rete di corrieri, grossisti, broker che fanno affari sia con gruppi di narcotrafficanti che con clan mafiosi. Unico punto fisso: a stabilire le regole sono le ‘ndrine calabresi, che hanno in mano il monopolio.

I sequestri al porto di Catania

L’ultima operazione in ordine di tempo che ha rivelato il contatto tra narcotrafficanti calabresi e malavita catanese è quella che ha portato in carcere 6 persone nel marzo del 2025, e che ha rivelato il sistema di ingresso della cocaina nel porto di Catania per almeno tre grosse spedizioni da più di duecento chili in totale.

La droga, si legge nelle carte dell’inchiesta, entrava nel porto catanese secondo modalità molto simili a quelle adottate dai narcotrafficanti in altri scali italiani, occultata tra le lamiere dei container in arrivo dal sud America o all’interno dei vani per la refigerazione.

Secondo le rivelazioni del collaboratore di giustizia Errico D’Ambrosio, in precedenza parte della cosca calabrese dei Molè, la ‘ndrangheta sceglie di fare arrivare grossi carichi di cocaina dal sud America a Catania per evitare l’eccessiva pressione da parte delle forze dell’ordine sul porto di Gioia Tauro. Ancora oggi uno dei maggiori terminali del narcotraffico dall’Ecuador, dalla Bolivia e da altri forti produttori ed esportatori di cocaina.

I contatti con le cosche catanesi

Proprio D’Ambrosio in occasione dell’arrivo di un carico di cocaina da 110 chili fu inviato a Catania dai suoi referenti calabresi, Giuseppe Curciarello e Antonio Scarfò, che avevano organizzato la spedizione. C’era bisogno di tirare fuori la cocaina dal porto, e D’Ambrosio entrò in contatto con Nino Vasta, del clan Cappello.

Vasta è il collegamento con una rete più ampia di contatti criminali, tutti anelli della catena del narcotraffico. Riesce ad accedere al porto grazie ai Pillera/Puntina, che controllano tutto quello che si muove nel porto. E chiedono tra il 30 e il 40 per cento del valore delle spedizioni di droga per farle arrivare e uscire in sicurezza. Parla direttamente con Angelo e Melino Sanfilippo, che si occupano materialmente di tirare fuori la cocaina da un container danneggiato.

In altri casi l’indagine su Angelo Sanfilippo rivela che, anche quando non sono coinvolti direttamente i clan catanesi, gli arrivi di droga a Catania sono comunque controllati dalle ‘ndrine calabresi.

“Cemento”

Almeno in altre due operazioni che hanno visto grossi sequestri di cocaina a Catania compaiono narcotrafficanti calabresi. In questi casi però Catania non è un porto di ingresso nel territorio nazionale ma è un nodo di smistamento. La cocaina arriva dalla Calabria e poi prende la via di altre città siciliane, o delle piazze di spaccio catanesi.

È il caso dell’operazione “Cemento” del dicembre 2024 in cui gli investigatori della polizia, tenendo d’occhio due diverse associazioni che si dedicavano al narcotraffico, si imbatterono nel personaggio di Rocco Rizzo, impegnato nel rifornimento e smistamento di cocaina in Sicilia a diversi gruppi criminali.

Secondo le ricostruzioni Rizzo faceva viaggi giornalieri tra Reggio Calabria e Catania, con soste a San Giovanni Galermo, Villaggio Sant’Agata, San Giorgio, via Palermo. Tutti rifornimenti a diversi spacciatori di droga.

A monte di Rizzo c’era, sempre secondo le indagini, Manuel Monorchio, accusato di essere il coordinatore dei corrieri e soprattutto di tenere i contatti con i grossi fornitori di cocaina.

Di nuovo, i calabresi: secondo le intercettazioni, in almeno un caso Monorchio incarica Rizzo di consegnare i soldi derivanti dalla vendita di 3 chili di cocaina allo “zio”, un personaggio che nelle carte resta senza nome ma che è operativo nella zona di Polistena, in provincia di Reggio Calabria.

“Devozione”

In un altro caso, quello dell’operazione “Devozione” di giugno 2024, i due calabresi Bruno Cidoni e Antonio Pezzano si sono trasferiti a Catania per gestire in prima persona il traffico di cocaina, diventato molto redditizio. I due gestivano i contatti con i fornitori calabresi, contrattando i prezzi, e rivendevano ai diversi gruppi criminali catanesi.

Come si legge nelle carte, Cidoni avrebbe avuto rapporti con lo ‘ndranghetista Francesco Pelle, della ‘ndrina Pelle Gambizza di San Luca. Coinvolto nell’acquisto di droga sarebbe stato, sempre secondo gli investigatori, Pasquale Zagari. Che sarebbe stato l’intermediario che in Calabria consegnava la droga ai corrieri e riscuoteva i soldi per pagari i fornitori.

Per questo gruppo gli investigatori hanno documentato più di 20 viaggi per l’approvvigionamento di cocaina e marijuana tra Catania e la Calabria, con sequestri totali di 11 chili di droga. Cidoni e Pezzano si comportavano da grossisti: vendevano a tutti i clan, senza entrare nelle rivalità.

I sequestri di cocaina in mare

Di nuovo sul tema della rotta dal sud America, negli ultimi due anni sono avvenuti nel tratto di mare di fronte a Catania diversi sequestri di quantità enormi di cocaina. Nel settembre 2024 un blitz della Guardia di finanza ha permesso il sequestro di 540 chili di cocaina a bordo di un peschereccio.

I marinai stavano recuperando a bordo i panetti di droga dal mare. E gli investigatori sospettano che in quel caso il carico fosse stato lasciato in mare da un mercantile per il successivo recupero. Tecnica conosciuta come drop off.

Stesse modalità nella primavera del 2023, quando due tonnellate di cocaina furono trovate a galleggiare nel tratto di mare tra Catania e Siracusa. In entrambi i casi la provenienza della droga fu attribuita dagli investigatori al sud America, zona su cui i calabresi hanno di fatto il monopolio dei contatti. Tra le ipotesi circolate nella primavera 2023 infatti ci fu quella che la droga non fosse destinata a fermarsi in Sicilia.

La nave e il peschereccio

Un altro caso, anche se non nelle acque catanesi, è particolarmente noto. Nel luglio 2023 la nave Plutus e il peschereccio Ferdinando D’Aragona furono fermati nel canale di Sicilia. A bordo del peschereccio c’era la più grande quantità di cocaina mai sequestrata in una singola operazione in Italia: cinque tonnellate, un miliardo di euro di valore.

Secondo gli investigatori la Plutus era la nave madre, arrivata dal sud America, e il peschereccio aveva recuperato il carico. Il suo incarico era riportarlo nel suo porto d’origine. Sia il Ferdinando D’Aragona che il suo comandante e l’equipaggio erano originari di Bagnara Calabra, da cui il peschereccio aveva preso il largo.

Nell’ultima operazione per traffico di droga a Catania sono state arrestate sei persone.


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