Palermo, Concorsi truccati all'Università: 'Noi riservati come i boss mafiosi' - Live Sicilia

Concorsi truccati all’Università: ‘Noi riservati come i boss mafiosi’

Le intercettazioni dell'inchiesta che ha travolto il Policlinico del capoluogo

PALERMO – Per l’informativa finale i carabinieri del Nas hanno scelto il nome “Università allegra”.

Allegra e sotto il controllo dei potenti, a giudicare dal materiale raccolto dalla Procura della Repubblica di Palermo sul Policlinico dell’Università di Palermo.

Tanto potenti da potere essere paragonati ai boss mafiosi. Non era un azzardo quello del professore Gaspare Gulotta, luminare della Chirurgia palermitana, oggi in pensione, uomo chiave dell’inchiesta, così come colui che aspirava ad essere il suo successore, Mario Adelfio Latteri.

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Gulotta “spadroneggiava” per spartirsi con Latteri i posti nei concorsi con la logica del “fifty fifty”.

Per aiutare i candidati sotto la loro ala protettiva avevano bisogno di controllare le commissioni esaminatrici. Ed è qui che l’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Sergio Demontis, svela che il sistema si spingeva lontano da Palermo fino a Roma e Napoli.

“Da Roma tutti preferivano fare le commissioni con i siciliani, volevano fare i patti con i siciliani, perché i siciliani erano affidabili”, raccontava Gulotta sotto intercettazione.

Affidabili perché riservatissimi come i boss: “C’era sta cosa della mafia, infatti si diceva che un siciliano muore ma non…”.

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Come accade nelle indagini su Cosa Nostra ecco venire fuori il parallelismo fra il passato e il presente. Il primo ricordato con nostalgia per prendere le distanze dal nuovo che avanza ma senza lo spessore di un tempo.

“Noi prendevamo impegni, andavi in un posto – diceva Gulotta – ora invece l’accademia è fatta di questi giovani… nuovi, non ragionano”.

Forse alcuni prof hanno iniziato ad avere paura come diceva un docente che doveva venire in Sicilia: “Gaspare, sai sono stato sorteggiato, faccio rifermiento a te, per me Palermo sei tu… Mi dicono che là è la valle dei leoni, che se uno viene a Palermo viene denunciato, viene fatto… che fa, devo prendere un’altra assicurazione, devo prendere già l’avvocato?”.

C’era una guerra in atto per mettere le mani sugli incarichi. Sarebbero cinque i concorsi truccati tra il 2019 ed il 2020: un posto di professore ordinario di I fascia, due associati di II fascia e due ricercatori a tempo determinato.

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Il regolamento prevedeva che i commissari d’esame venissero scelti da una lista ristretta ed erano “amici” come li definiva Gulotta (le regole sono state cambiate dopo lo scandalo all’Università di Catania).
I commissari arrivavano anche da fuori, come un altro indagato, Vito D’Andrea, docente a Roma. “Io conosco a quello che ho messo io in cattedra a Roma e penso che sarà sensibile a me – diceva Gulotta -. Vito D’Andrea l’ho fatto ordinario io e a Vito D’Andrea lo conosco, gli altri due non so chi siano… certo c’ho quello che ho messo in cattedra a Roma con una forzatura particolarmente pesante”.

Come forzato sarebbe stato lo stop dell’intera macchina dei concorsi pur di favorire chi si metteva sotto la sua ala protettrice. Secondo gli investigatori, “fino al 2015 Gulotta si è prodigato con fatica per bloccare i concorsi in quanto i ‘suoi’ non erano ancora in possesso dei titoli e delle abilitazioni”.

“Mi sono ritrovato nessuno dei miei che aveva i titoli per essere idoneo… – spiegava il direttore della Chirurgia dell’Università – perché non l’ho fatto io nel 2015 e lo sto facendo ora? Tutto il discorso nasce da due anni a questa parte che i miei hanno l’abilitazione, mentre prima… Quindi ho combattuto e lo ammetto e non me ne sono pentito per cercare di non far diventare ordinario, secondo di me nessuno di questi meritava di avere… e i miei, anche se non avevano titoli e l’abilitazione non potevano passare dietro a questi, quindi la mia è stata… per cinque anni battere nel gruppo chirurgico a non fare bandire nessun concorso”.

Perché la logica spartitoria del fifty fifty veniva prima del merito e lo mortificava. Sotto l’ala protettiva dei baroni si andava avanti. Agli altri rimanevano le briciole e le valigie. Lo sapevano tutti, o quasi, ma nessuno diceva nulla. Fino a quando non si è fatto avanti il chirurgo Calogero Porrello. La Procura ha ascoltate e vagliato con attenzione le sue parole. Ed è nata l’inchiesta.


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