Nove anni per Giovanni Lena, 6 anni e 4 mesi per Salvatore Sbeglia e Vicenzo Rizzacasa (nella foto). Sono queste le richieste formulate dal pm della procura di Palermo, Nino Di Matteo, nell’inchiesta denominata “mafia-appalti” che ha portato a numerosi arresti nel giugno del 2010. Il processo si svolge a porte chiuse e oggi l’accusa ha sostenuto la requisitoria.
Secondo la procura di Palermo l’impiego di Salvatore Sbeglia nella Aedilia Venusta dell’architetto Vincenzo Rizzacasa era strumentale alla caratura mafiosa del personaggio. “Se l’è messo dentro” ha spiegato il pm, per sfruttare lo spessore mafioso e quindi per acquisire agevolmente nuovi lavori e, in secondo luogo, per mantenere i rapporti col territorio in termini di messa a posto, forniture e manodopera. L’adesione al comitato Addiopizzo da parte dell’Aedilia Venusta è da leggere in un’ottica in cui Cosa nostra cerca di strumentalizzare le pur lodevoli iniziative antimafia per avere una comoda e falsa patente. Quanto alle diverse denunce presentate dalla ditta di costruzioni su danneggiamenti subiti nei cantieri, l’accusa ha sottolineato che anche le imprese mafiose pagano il pizzo quando vanno in altri territori e che le denunce vanno prese per quelle che sono.
Per quanto riguarda la posizione di Francesco Lena, titolare dell’azienda vinicola dell’Abbazia Sant’Anastasia, imputato di associazione mafiosa, l’accusa ha sostenuto che si tratta di una falsa vittima, un imprenditore colluso che ha fatto affari con Nino Madonia, Salvatore Lo Piccolo, Bernardo Provenzano e Franco Bonura. L’accusa, infine, ha chiesta la confisca delle aziende di Rizzacasa e Lena: l’Aedilia Venusta e Abbazia Aant’Anastasia.