PALERMO – Quando la politica è davvero una condanna. Un desiderio irrinunciabile, dal quale è difficile sottrarsi. Nemmeno di fronte a sentenze dei tribunali che consiglierebbero ai diretti interessati, e ancor di più ai loro partiti inneggianti alla pulizia delle liste e all’etica che puntella i loro “codici”, a fare un passo indietro. A rifletterci un attimo. A pensare che non si deve fare mica politica per forza. E in ogni momento.
Così, in un’Assemblea che ha “prodotto” nell’ultima legislatura sei arresti e una ventina di iscrizioni nel registro degli indagati, potrebbero giungere diversi parlamentari sul cui “curriculum” campeggia la macchia di una condanna. Non di un’indagine, o di un rinvio a giudizio. Una condanna. Emessa da un tribunale. Sebbene, in certi casi, ancora in primo grado. Come nella vicenda che ha coinvolto il candidato della lista Musumeci presidente a Messina Placido Oteri, su cui grava una condanna in primo grado a sei anni per tentata estorsione. Alla pubblicazione della notizia, da parte di Live Sicilia, però, Oteri ha compiuto quel “passo indietro” auspicato anche dalle forze politiche che lo hanno sostenuto. Una scelta, quella del “ritiro” dalla campagna elettorale (sull’efficacia della scelta, visto che comunque il candidato rimane tale, ci sarebbe forse da fare un discorso a parte), seguita anche da Francesco Pettinato, dell’Idv, nonostante per lui non sia arrivata alcuna sentenza, ma c’è “solo” un’indagine in corso.
Sulla condanna a un anno per abuso d’ufficio del candidato dell’Udc a Palermo Giuseppe Spata, invece, potete leggere in un pezzo dedicato alla sua vicenda. Ma questi casi sono gli ultimi due di una fila di condannati regolarmente in attesa di staccare il proprio ticket d’ingresso a Palazzo dei Normanni.
È il caso ad esempio di Mimmo Fazio. Ex sindaco di Trapani e candidato in quella provincia tra le fila del Pdl. Nel 2006 è stato condannato in appello dal tribunale di Trapani alla pena di quattro mesi di reclusione, sostituita da una multa di 1.520 euro e all’interdizione per un anno dai pubblici uffici per il reato di “violenza privata”. Secondo i giudici, Fazio avrebbe provato a indurre l’allora amministratore delegato dell’Ato rifiuti “Terra dei Fenici” Vincenzo Sciortino alle dimissioni, attraverso, appunto, la minaccia di esautorare dal ruolo di presidente della Sau (l’azienda trasporti trapanese, ndr) Vito Dolce, un grande amico dello stesso Sciortino. “Una decisione che rifarei”, ha ribadito Fazio, che precisa: “Ho agito nell’interesse della mia città”.
Cambi province, e trovi altri esponenti del Pdl con una condanna alle spalle. Quella di Salvino Caputo, ad esempio, è stata ricordata da Gianfranco Micciché nei giorni in cui è stata ufficializzata la candidatura di Franco Mineo per Grande Sud: “Ma come – chiedeva Micciché – ci si scalda tanto per un indagato, mentre altri partiti hanno anche dei condannati in lista”. A dire il vero, le accuse che al momento pendono sul capo di Mineo (tutte da dimostrare, ovviamente) sono ben diverse dai motivi che portarono alla condanna di Caputo: il presidente della commissione Attività produttive all’Ars, ed ex sindaco di Monreale, avrebbe annullato le multe a carico di un assessore e di sua moglie, servendosi di una determinazione sindacale. Per questo motivo è stato condannato a due anni per tentato abuso d’ufficio e falso ideologico. Condanna con recente “riabilitazione” per un altro ex sindaco del Pdl. Il caso che riguarda Giuseppe Buzzanca, fino a poche settimane fa sindaco di Messina, fece il giro dell’Italia. Normale “contrappasso” per lui, che decise di farsi un giro in autoblu per raggiungere la moglie e partire con lei per il viaggio di nozze. Arrivò, come detto, la condanna: sei mesi, per peculato.
E una condanna pesa sul capo anche di tre deputati del Cantiere popolare. A Messina, Santo Catalano proverà a tornare a Sala d’Ercole dopo una legislatura nella quale ha strenuamente difeso il suo scranno, nonostante una sentenza della Cassazione che lo aveva definito “decaduto”(perché ineleggibile) a causa di un patteggiamento ad un anno e undici mesi per abuso edilizio. Una sentenza confermata inizialmente dalla “Commissione Verifica dei poteri” dell’Ars, ma capovolta dal voto segreto dei deputati, che inizialmente “salvarono” Catalano. In 38 votano a favore del “mantenimento” all’Ars di Catalano, 35 i contrari. E per il candidato passato al Pid dopo l’elezione tra le fila dell’Mpa, ecco anche i baci e gli abbracci. Sempre nel Cantiere popolare, ma nella lista presentata a Catania, trova spazio Mimmo Rotella. Condannato un anno fa in primo grado a due anni e tre mesi con l’accusa di abuso d’ufficio, nella vicenda che riguarda il “buco” di bilancio al Comune di Catania. A Ragusa, invece, è candidato Giuseppe Drago. Per lui in passato una condanna definitiva a tre anni per peculato: quand’era governatore si sarebbe appropriato dei fondi riservati alla Presidenza. La Cassazione lo aveva pure interdetto dai pubblici uffici, e nel 2010 Drago si era dovuto dimettere da parlamentare nazionale. Nel giugno scorso l’interdizione è “scaduta”, così, si sono riaperte per lui le liste del partito.
Altri due condannati figurano tra le fila del’Udc e del Partito dei siciliani. Nel partito di Casini, nella provincia di Siracusa, ecco Giuseppe Sorbello. L’ex sindaco di Melilli è stato condannato a quattro mesi di reclusione per abuso d’ufficio per fatti legati al finanziamento della sua campagna elettorale. Nel Partito dei siciliani, invece, Giuseppe Arena è stato condannato in primo grado a due anni e nove mesi per falso in bilancio.
Sotto processo
Non c’è una condanna, invece, ma un processo in corso per altri aspiranti deputati dell’Ars. Molti di questi a caccia di una riconferma tra gli scranni di Sala d’Ercole. Di Franco Mineo (Grande Sud), s’è parlato ampiamente. Il deputato uscente è sotto processo per intestazione fittizia di beni, usura, malversazione e peculato. Mineo è accusato di essere il prestanome di Angelo Galatolo, presunto boss dell’Acquasanta. È finito in carcere (una detenzione che la Cassazione ha però definito “ingiusta”), invece, Cateno De Luca. Ma a carico del candidato alla Presidenza per “Rivoluzione siciliana” va avanti il processo a suo carico per tentata concussione e abuso d’ufficio per una vicenda di investimenti alberghieri nel piccolo comune di Fiumedinisi. E la stessa disavventura degli arresti domiciliari è stata vissuta anche da Riccardo Minardo, candidato a Ragusa col Partito dei siciliani. Arrestato nell’aprile 2011 è rinviato a giudizio per associazione a delinquere, truffa aggravata e malversazione ai danni dello Stato. Custodia cautelare, nella scorsa legislatura, per un altro candidato del Partito dei Siciliani. Quando è arrivato il provvedimento di arresto, a dire il vero, Fabio Mancuso figurava ancora tra le fila del Pdl all’Ars (dove ricopriva anche il ruolo di presidente della commissione Ambiente). Ora è sotto processo per bancarotta. E sempre per restare nel nuovo partito sicilianista nato come “naturale evoluzione” dell’Mpa, ecco un altro “nuovo acquisto”. Giuseppe Picciolo fino a pochi mesi fa militava nel Pd. Per lui, passato a fine legislatura tra gli autonomisti, un processo pendente con l’accusa di simulazione di reato e calunnia aggravata: avrebbe spedito lettere anonime che sostenevano falsamente presunti illeciti nella gestione dei rifiuti da parte di Antonio Dalmazio, presidente di Messinambiente, e Antonio Catalioto, assessore comunale. Infine, guai anche per l’ex presidente dell’Anci Sicilia ed ex sindaco di Alcamo Giacomo Scala, candidato del Pd nel collegio di Trapani. Sul suo capo, un’imputazione per abuso d’ufficio.