CATANIA – C’è una parte di verità (processuale) dell’omicidio di Antonino Paratore, ammazzato all’interno del suo bar Le Palme la sera del 24 maggio 1991, che non è stata ancora decretata. Per il delitto di Nino ‘ballerino c’è già stato un processo contro Nitto Santapaola, Aldo Ercolano, Francesco Mangion (deceduto), Marcello D’Agata, Calogero Campanelle, Santo Scalia e Giovanni Comis.
Oggi nel processo Thor, alla sbarra ci sono Giuseppe Squillaci e Francesco Maccarrone. È ancora una volta il figlio dell’imputato ad avere aperto nuovi scorci investigativi. “Nino ballerino – ha spiegato il pm Rocco Liguori al gup, citando le parole del collaboratore – in passato è stato un mafioso stimato nel clan Santapaola, ma poi non sapeva bene per quale motivo è stato posato e, infine, ucciso perché per come gli aveva riferito suo padre Giuseppe Squillaci il Paratore gestiva di nascosto in corso Italia una casa di appuntamenti”. Una morte decretata dall’alto.
“È stato ucciso nel suo bar ad Ognina, all’epoca Bar Delle Palme, e l’omicidio è stato organizzato dal gruppo di Picanello e dal gruppo di Ognina, tanto che erano presenti Turi Cristaldi, Giovanni Comis, Enzo Scalia, tutti e tre appartenenti al gruppo di Picanello, ed è stato commesso da Francesco Maccarrone il quale gli ha confidato che con Scalia sono entrati nel bar e hanno ordinato un caffè, poi Francesco Maccarrone si è rivolto al Paratore che si trovava al bancone dicendogli che il caffè era bruciato ed alla risposta seccata del Paratore il Maccarrone ha estratto la pistola e gli ha sparato in testa. Maccarrone gli ha anche riferito che i familiari del Paratore hanno reagito gridando e buttando oggetti contro il killer e scagliandosi contro il Maccarrone. Giuseppe Squillaci, che in quel periodo è il responsabile del gruppo dei Martiddina, ha messo a disposizione il suo killer e l’ha atteso in macchina a Picanello o a Ognina per riportarlo a Piano Tavola”. Questa la sintesi delle dichiarazioni di Squillaci.
Anche Ferdinando Maccarrone il fratello del killer, ha raccontato dettagli di questo delitto. Così come Natale Di Raimondo che ha raccontato i vari summit in cui si è deciso di uccidere Paratore. Liguori, inoltre, ha citato i verbali dei pentiti già sentiti nel primo processo.
Ma anche per questo omicidio è arrivata la confessione di Francesco Maccarrone. Il killer non ha mai saputo il perché di quella condanna a morte: “forse per dei contrasti con dei Mangion”, ha detto Liguori nella requisitoria. “È stato lui a sparare alla vittima con una pistola 7,65 che gli è stata fornita dal gruppo di Picanello, è andato sul posto con una macchina guidata da Pinuccio Di Leo (poi ucciso da Maurizio Avola, ndr) e con a bordo anche Enzo di Picanello, Enzo di Picanello è Enzo Scalia, mentre altre macchine fungevano da copertura con quelli del gruppo di Picanello, tra cui Maurizio Avola. È stato Giovanni Comis, altro appartenente al gruppo di Picanello, che gli ha indicato la presenza della vittima nel bar. Arrivati sul posto sono scesi lui e Scalia e sono saliti al piano superiore dove la vittima era al tavolino insieme ad altri, sono andati al bancone e hanno chiesto un caffè. Paratore si è alzato e dopo aver preparato il caffè ha chiesto com’era venuto il caffè, il Maccarrone gli ha risposto che il caffè era bruciato e contemporaneamente ha preso la pistola e gli ha sparato un paio di colpi a bruciapelo uccidendo la vittima”. Una versione che collima quasi perfettamente con quella di Francesco Squillaci.