Cosa nostra e la legge del taglione |Mutilato e ucciso: al via il processo - Live Sicilia

Cosa nostra e la legge del taglione |Mutilato e ucciso: al via il processo

A sinistra, la vittima dell'omicidio Massimiliano Milazzo. A destra, Pasquale Merendino e Giuseppe Correnti

Nel 2013 i carabinieri trovarono il corpo di Massimiliano Milazzo nelle campagne di Misilmeri.

PALERMO – Approda in aula una delle vicende più crude della cronaca degli ultimi anni. Nel giugno del 2013 i carabinieri trovarono il corpo di Massimiliano Milazzo nelle campagne di Misilmeri. Aveva 25 anni. Era stato torturato, massacrato di botte, mutilato con una zappa e infine bruciato.

Cosa nostra, secondo l’accusa, avrebbe infierito sulla vittima applicando la “legge del taglione”. Milazzo avrebbe pagato con la vita il mancato rispetto delle regole del clan. La prossima settimana inizierà l’udienza preliminare per i suoi presunti carnefici: Pasquale Merendino, 34 anni, e Giuseppe Correnti, di 51. Sono accusati di omicidio aggravato dall’avere agito per favorire cosa nostra. Una terza persona, Giuseppe Di Stefano, saprà se sarà rinviato a giudizio o meno per favoreggiamento semplice. Era stato filmato mentre mimava il gesto del taglio delle mani. Secondo l’accusa, un chiaro riferimento alla sorte toccata a Milazzo, mentre Di Stefano ha dichiarato a carabinieri che stava discutendo dei suoi problemi al braccio.

Il procuratore aggiunto Leonardo Agueci e il sostituto Sergio Demontis porteranno davanti al giudice per l’udienza preliminare la ricostruzione di un delitto mafioso. Con la condanna a morte di Milazzo sarebbe stato inviato un segnale a tutti coloro che non si piegavano al volere del più forte. Carabinieri e pm hanno messo insieme una sfilza di indizi. È stato necessario avvalersi della competenza di chi conosce il linguaggio dei sordomuti per decifrare gesti e labiale. Merendino è fratello di Pietro, personaggio di spicco della cosca di Misilmeri, già condannato per mafia. Correnti è figlio di Sebastiano, indiziato mafioso ucciso nel 1988 in un agguato nelle campagne del paese.

Il 27 giugno 2013 Milazzo usciva di casa per andare a recuperare la macchina in officina. Non vi avrebbe più fatto ritorno. La denuncia di scomparsa presentata dalla moglie diede il via alle indagini nel quartiere San Giuseppe dove i Merendino sono titolari di un panificio. C’è chi ha raccontato degli screzi fra Milazzo e gli stessi Merendino, che non avrebbero gradito né il suo lavoro – faceva lo spacciatore di hashish – né i suoi metodi. Una volta, richiamato all’ordine e invitato ad allontanarsi, avrebbe risposto che altri e non lui dovevano andare via. E poi c’erano alcuni furti di cemento non autorizzati che venivano contestati allo stesso Milazzo. Insomma, dal suo arrivo nel quartiere, datato 2011, Milazzo avrebbe creato parecchi malumori. In tanti, fra i residenti, si sarebbero rivolti ai Merendino per ristabilire l’ordine. E Pasquale, oggi in cella, con l’aiuto di Correnti, avrebbe messo in atto il “piano” di morte.

Nei filmati di due telecamere sono rimasti impressi i volti dei protagonisti. Massimiliano Milazzo al bar “283” di via Roma avrebbe accettato l’invito di Pasquale Merendino a spostarsi in luogo appartato. Sapeva, dicono gli investigatori, di non potersi rifiutare. Alle 19.43 Milazzo uscì dal bar. Percorse alcuni metri a piedi fino a raggiungere la Fiat Uno a bordo della quale c’era Merendino. Quest’ultimo, secondo l’accusa, avrebbe cercato di non farsi riprendere dalla telecamera del bar. Non sapeva, però, che c’era un’altra telecamera piazzata davanti ad un distributore di benzina lungo la strada provinciale che conduce a Bolognetta. Alle 19.47 si vedeva transitare una Fiat Uno. A bordo c’erano Merendino e Milazzo. Poco prima la stessa telecamera aveva filmato il passaggio di una Fiat panda con alla guida Correnti, che alle 20.30 faceva rientro a Misilmeri. Due minuti dopo toccava alla Fiat Uno di Merendino fare lo stesso percorso. Carabinieri e magistrati non hanno dubbi: il piano di morte era stato portato a termine. Indizi, solo indizi e nessuna prova sostengono da sempre gli indagati.


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