CATANIA – “Fiore… tutto a posto?” si è sentito rivolgere questa domanda decine, centinaia, migliaia di volte quando gli agenti della Questura di Catania incrociavano il suo sguardo stanco, ma fiero. Stanco dopo vent’anni di estorsioni, fiero per aver fatto arrestare i suoi aguzzini, delinquenti collegati ai clan mafiosi Santapaola e Laudani.
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Salvo Fiore, costruttore belpassese aveva perso tutto, anche la dignità, nascosta dietro le scuse che era costretto a recitare quotidianamente ai suoi cari. “Vai a raccontare ai tuoi figli di non avere i soldi per il latte – ci riferisce dietro il fumo di una sigaretta – vai a raccontare a tua moglie che stai lavorando per gli altri”.
E così Fiore l’ha persa quella famiglia, mollato dalla moglie, da quel maledetto 1993 ha rinunciato a vent’anni di libertà, spalle al muro schiacciato da minacce, soprusi e angherie. Un incubo a pensarlo adesso: “Ancora mi commuovo ed emoziono” dice mentre stringe di nuovo la sua vita in pugno e ripete, con orgoglio, “sono un uomo libero, adesso sono un uomo libero”.
Tra Catania, Belpasso, Paternò, Mascalucia, Nicolosi e Riposto in manette Salvo ha mandato ventisette persone nel febbraio 2014 nell’operazione Money Lender, definita dal pm Scaminaci come “il giro di usura e estorsione più ingente mai scoperto a Catania”. Preziose le dichiarazioni del costruttore di Belpasso, indispensabili per chiudere vecchie indagini, sufficienti per aprirne delle nuove. Fiumi di nomi, nomi di potenti. Gente che lo aveva trasformato giorno dopo giorno in un burattino, imprenditore di successo a capo di una ditta di costruzioni con centotrenta dipendenti prima, marionetta nelle loro mani poi: “Non ragionavo più, non dormivo più, non ero più me stesso – racconta – oggi sono sereno, libero e vivo nella piena legalità, parola che in molti usano, ma che non sta bene sulla bocca di chiunque”.