Cracolici, l'ultimo politico - Live Sicilia

Cracolici, l’ultimo politico

La politica arretra. Si sparge il capo di cenere. Sono tanti che - più o meno ipocritamente - recitano il mea culpa. Tanti: tranne uno.

Antonello Cracolici è l’ultimo Samurai, l’ultimo giapponese nella giungla, l’ultimo politico rimasto in trincea a difendere la politica, pur con le sue contraddizioni. Gli altri no. Gli altri dichiarano guerra alla casta di cui fanno parte. Rinnegano il regime che li ha nutriti e pasciuti, nei giorni di fine dell’impero. E fanno a gara per indossare maschere che li mostrino diversi al popolo. Mani che ghigliottinano piuttosto che teste da ghigliottinare. Si dipingono deboli, perché vogliono salvarsi, umili, perché tentano di scamparla. E così accelerano la velocità della rovina.
Antonello “pelorosso” la politichina e la politicazza le ha masticate e deglutite in tempi antichi di sezioni polverose, ritratti di Marx e testi sacri. Perciò, l’ha capito prima di tutti. Qui non è in discussione la politica cattiva (politicazza) che dovrebbe essere spazzata via, sperabilmente, dalla politica buona (politichina). Qui è in crisi l’idea stessa di politica, il pensiero che la politica possa essere utile, che siano necessarie le persone fisiche, le istituzioni, le cucine in cui si accende il fuoco sotto la pentola degli incontri, dei compromessi e delle scelte.

Vince il principio coreano in salsa contemporanea: non servono i parlamenti, le urne e la mappa del solito gioco. Il mondo che sopravvive sarà annientato dalla New Age cibernetica. Un clic sul pc per fare finta di decidere, tanto ci sarà sempre, in una stanza virtuale e segreta, un demiurgo più o meno capelluto, per mettere a posto le cose, ovviamente in ossequio al bene comune sullo spartito di un magnifico sol dell’avvenire. Ecco, siccome nei polmoni di Antonello è filtrata tanta di quella gloriosa muffa di quelle polverose sezioni, lui non ci sta. E rimane al suo posto, nel suo pezzo di giungla, col fucile a piombini in mano.

Un esempio? La relazione della Corte dei Conti sulla corruzione del potere e degli eletti democraticamente è un calcio in piena faccia. Gli altri, appunto, hanno minimizzato. Hanno volto lo sguardo altrove. Hanno blaterato qualche banalità. Pelorosso ha risposto ai calci con i cazzotti. Ed è stato l’unico: “I giudici non diventino parte del qualunquismo, facciano nomi e cognomi. E’ inaudito che si parli così”. Esattamente l’opposto della condiscendenza di Rosario Crocetta che ha invece plaudito alle severissime parole in calce. Ognuno tira acqua al mulino della propria rivoluzione.
Perfino per l’inchiesta sulle ‘spese pazze’ Cracolici ha fatto ricorso all’ardimento del petto in fuori. Si è difeso con vigore e con un sarcastico: “Certo, confesso di avere comprato l’acqua”. E nella battuta risplende il fondamento del rito politico- cracoliciano. Sottotitolo liberamente riferito: ‘Non lo sapete che il sistema funziona così e va benissimo, purché efficace? Non lo sapete che non è un crimine acquistare l’acqua e provvedere ai bisogni della politica così come è sempre stato? Ma la politica serve, signori censori, che vi piaccia o non. E se piazzate ancora mine sul nostro percorso, nulla resterà nel bene e nel male’. Traduzione con una virgoletta al posto delle classiche due, perché non è una dichiarazione, solo un pensamento verosimile.

Il dettato appare chiaro: l’acqua della politica è necessaria. Per questo Antonello Cracolici, con la polvere delle vecchie sezioni, con le stimmate di tutti i suoi errori anche gravi, non cede di un millimetro, non arretra, non dismette il fucile. E chissà che il coraggio non sia, in tempi talmente vili, l’unica rivoluzione possibile.


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